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POESIA E CANTO

di Gioia Guarducci

da "Il Dolce Stile Eterno" supplemento de L'Alfiere di Ottobre 2003, Gennaio 2004 e Giugno 2004


Fin dalla notte dei tempi l'uomo usò la voce come mezzo di espressione musicale, solo in un secondo momento furono impiegati strumenti veri e propri..

I poeti greci e latini, erano infatti chiamati aedi, citaredi, rapsodi , termini che avevano in sé la radice del vocabolo greco “ aoidòs ”, cioè “ canto ”.

Il termine “lirica”, cui oggi diamo il senso di “poesia” o “bel canto”, trae origine dalla lira, il piccolo strumento musicale che accompagnava la declamazione delle poesie.

Tra Poesia e Musica l'intreccio è sempre stato strettissimo, perché fin dall'inizio il testo poetico nacque per accompagnarsi ad un'aria musicale.

Un solo musico-poeta componeva melodie e versi (come oggi fa il “cantautore”).

Un famoso mito greco ci parla del poeta-musico Orfeo , che col canto trascinava belve, pietre e piante, e di Anione , figlio di Zeus , che suonando la lira fece rotolare spontaneamente le pietre, per innalzare le mura a difesa di Troia.

La poesia e la musica racchiudono in sé fin dall'antichità uno spirito magico. Nel canto, sia sacro che profano, persisteva una connessione intima tra musica e parola. Quando poi la parola, assurta a ritmo musicale, prese ella stessa una forma armoniosa, nacque la Poesia.

Col tempo il modo di sentire la poesia, infatti, andò cambiando e si passò così da una poesia cantata e recitata ad una poesia letta mentalmente. Già Dante pensava ad una lettura individuale quando diceva: “ Or ti riman, lettor, sovra ‘l tuo banco… ”, ma per lungo tempo si continuò a scrivere poesia da abbinare ad una melodia, cantata o suonata.

Il nome italiano delle diverse forme poetiche indica ancora la connessione con la musica: sonetto (dal latino “sonus”= suono , attraverso il provenzale “ sonet ” diminutivo di “ so ”= poesia per musica), canzone , canzonetta , ballata , rondo' o rondello (che in antico indicava una breve ballata per musica con ripetizione del primo verso alla fine di ogni strofa), canto , ode , inno .

Il comunissimo termine Canzone (dal vocabolo latino c antio - cantionis = canto, mutuato attraverso il provenzale cansò = composizione di versi e musica) fu usato agli inizi per indicare qualsiasi componimento rimato destinato al canto.

Nata nel Medio Evo, sulla scia del Canto Gregoriano (secoli IX e X), la Canzone popolare prese forma nel teatro dove si rappresentavano i “ Misteri” e nelle chiese dove si cantavano inni e sequenze, con parti anche in lingua volgare.

Dal canto religioso facilmente si passò a canzoni per danze, canzoni per brindisi, canzoni d'amore, con o senza ritornello.

La Canzone, nel XII secolo, era un termine generico per indicare varie forme quali: ballate, contrasti, lamenti, albe, pastorelle…; con questo termine all'inizio della letteratura cortese , si indicò indifferentemente ogni componimento lirico composto da strofe accompagnate da una stessa aria musicale .

Erano comuni le Canzoni di gesta di argomento epico , le Canzoni di crociata che, univano al sentimento religioso lo spirito politico e invitavano i fedeli a combattere per la difesa della fede, le Canzoni di storia di argomento narrativo, dette anche Canzoni di tela , perché cantate dalle donne intente al lavoro del telaio, e infine le Canzoni d'amore , ispirate dagli ideali della letteratura “cortese”. Queste ultime vennero poi perfezionate nello stile, sia dai T rovatori ( a sud della Loira), che scrivevano in lingua d'Oc, che dai T rovieri ( a nord della Loira), che si esprimevano in lingua d'Oil.

Questi poeti-musici spesso erano signori nobili o ecclesiastici, che affidavano i loro testi poetici e musicali a menestrelli o buffoni , i quali li diffondevano nelle piazze o nei castelli d'Europa.

Anche gli studenti (chiamati allora clerici vagantes , cioè studiosi girovaghi), viaggiando da una Università all'altra, diffondevano i canti seri e scherzosi ispirati alla vita di ogni giorno.

Famosi sono i canti degli studenti tedeschi, i Carmina Burana (che debbono il loro nome al monastero tedesco di Benediktbeuern, dove furono trovati).

Musica e canto furono inscindibilmente uniti anche nelle Sacre Rappresentazioni.

In Umbria e poi nel resto del nostro paese si sviluppò in modo particolare la Canzone Religiosa (o Lauda ), dapprima come ballata, eseguita da un coro e accompagnata da strumenti musicali. Questa in seguito prese la forma di “ rappresentazione sacra ”, cioè di spettacolo teatrale religioso, talora allestito nelle chiese stesse. I testi dei canti e dei recitativi (su melodie gregoriane) erano polimetri di endecasillabi e settenari.

Nel Trecento e nel Quattrocento, era detta Ballata (o Canzone a ballo ) la poesia con strofe e ritornello (ripresa), adatta ad accompagnare la musica e il ballo.

La ballata di destinazione musicale con i versi brevi, ottonari o settenari, veniva chiamata anche Barzelletta (ricordiamo ad esempio “ Quant'è bella giovinezza ” di Lorenzo dei Medici).

Nel XIII secolo furono in voga anche componimenti più popolari (accompagnati da arie musicali ), composti di ottonari o settenari, le Canzonette , modeste sia per gli argomenti trattati che per l'andamento piano e dimesso.

D i queste però non troviamo gran traccia nei documenti letterari, ciò non toglie che esse, trasmesse oralmente dal popolo, rimanessero nei secoli patrimonio comune di tutti.

A proposito del costume di unire accordi musicali al testo scritto, nel II canto del Purgatorio, il critico Buti, commentando l'incontro di Dante con Casella, dice che questo personaggio era cantore e intonatore di canti, sì che alcuno de' sonetti ovvero canzoni dell'autore intonò… .

Dante stesso, al verso 112, immagina che l'amico cominci a “ dire dolcemente ”, cioè a cantare, il primo verso di una sua celebre canzone “ Amor che nella mente mi ragiona ”.

Sempre il Buti con altri commentatori antichi afferma che questa canzone “ fu intonata per lo detto Casella ”, altri critici invece, come l'Anonimo Fiorentino, ci dicono che “ per le canzoni morali, come questa, non suole essere usanza d'intonarle ”.

Si può da qui arguire che esistessero poesie nate per essere lette ed altre nate per essere musicate.

La struttura metrica della “ Canzone ”, quella propriamente “letteraria”, codificata da Dante nel libro De vulgari eloquentia , consiste in una ben determinata sequenza di endecasillabi e settenari: “ Dunque la Canzone per eccellenza, - scrive il Poeta - quella che io sto qui cercando, è quell'insieme di stanze uguali, senza ritornello, scritta in stile tragico ”.

Lo schema piacque e fu adottato da molti poeti nei secoli successivi, massimamente dal Petrarca, che, rifacendosi a modelli provenzali, lo abbellì di maggiori varianti.

 

Tra le forme poetico-musicali del Medio Evo, non bisogna dimenticare il Madrigale (nato nel Trecento); è questo un canto di origine contadina (che tratta di argomenti pastorali e amorosi) composto da due o tre terzetti di endecasillabi, chiusi da uno o due distici a rima baciata. Ogni strofa veniva cantata anche a più voci sulla stessa aria e variava solo nel distico finale.

Anche la Caccia (nata nel XIV secolo in Toscana), era una composizione poetica musicata, senza schema metrico fisso, di andamento rapido e vivace, atta a ricreare le festose scene di caccia.

Nel Quattrocento ebbe successo una forma poetica di stampo prettamente popolare, generalmente in ottonari e settenari, che, su arie musicali, cantava, in maniera semplice e vivace, la varietà dei sentimenti e degli stati d'animo più spontanei. Ebbe nomi diversi: Villanella , Frottola e Strambotto.

Il più famoso fu lo Strambotto (o Ottava siciliana , detto anche Canzuna, fatto di ottave di endecasillabi - rimati ABABABAB- cantato a una sola voce).

A questo fecero seguito, il Rispetto (in Toscana, con rime ABABABCC o anche ABABCCDD ) e la Villotta (nel Veneto, rimata AA o AAB).

In Italia si diffondevano intanto molte altre canzoni ballabili (musica e versi) a tre o quattro voci.

E' noto come dalla fine del Quattrocento si intonassero per le strade di Firenze i Calendimaggio o Maggiolate , canzoni, sostanzialmente monodiche, adatte al canto e al ballo.

Molti strambotti, canzonette, canti carnascialeschi e ballate allietavano le feste e i balli, le sfilate di carri carnevaleschi, i banchetti di nozze, le festività patronali dal sud al nord della penisola.

Il più illustre tra i rimatori colti, che innovarono e ingentilirono questi generi popolari, fu Leonardo Giustinian (1388 ca.- 1446) patrizio veneziano, letterato umanista, che scrisse Strambotti e molte Canzonette musicate da lui stesso.

Le strofe hanno per lo più in versi brevi, (settenari, ottonari), ma talvolta sono anche in terze rime di novenari o in endecasillabi.

Queste si diffusero col nome di Canzonette Venete o “ Giustiniane ” e furono riprese e cantate ovunque:

Or te piaza, o chiara stela,

‘sti miei canti un poco aldire, *

poi che sola tu sei quela

a chi servo e voi * servire.

Anzoleta * vaga e bela,

gli ochi tuoi me fa languire...

* aldire = udire, voi = voglio, anzoleta = angioletta

 

Non ti ricordi quando mi dicevi

che tu m'amavi sì perfettamente?

se stavi un giorno che non mi vedevi,

con gli occhi mi cercavi tra la gente.

E riguardando s' tu non mi vedevi,

dentro de lo tuo cor stavi dolente.

E mo mi vedi e par no mi conossi,

come tuo servo stato mai non fossi.

I testi avevano un ritmo che si completava nella intonazione e si diffusero “intonate” , cioè musicate , come le canzoni moderne.

Tutto questo repertorio, infatti, è continuato a circolare ed oggi ancora è presente, modificato o smozzicato, nei nostri canti popolari.

Più raffinato, sia nel testo poetico che in quello musicale, fu il Madrigale Cinquecentesco , cantato a cinque, sei o anche sette voci; questo era metricamente più libero, non avendo uno schema fisso.

Si sa però che il raffinato musicista bresciano Luca Marenzio (1554-1599) poiché ambiva alla perfetta fusione della melodia con il testo, sceglieva in genere di musicare una poesia del Petrarca.

Nel Cinquecento con il Bembo, il Guidiccioni, il Caro e infine con Bernardo Tasso, tornò in auge la Canzone petrarchesca , cioè la canzone dal ritmo armonioso, non necessariamente accompagnata ad un'aria musicale.

Si cominciarono successivamente ad avere forme svincolate dal modello classico, infatti poeti come il Trissino, l'Alamanni e il Minturno preferirono lo schema della Canzone-Pindarica composta di una strofe e di una antìstrofe e chiusa da un epodo, costruita sull'antico modello tripartito dell'ode del poeta greco Pindaro.

Sempre ispirandosi alla poesia latina, fu creata, a imitazione del poeta latino Orazio, la Canzone-Ode, una forma meno elaborata, composta da strofe di quartine di endecasillabi, rimati ABBA o ABAB.

Nel Cinquecento poi si sviluppò, la canzone strumentale , cioè la trasposizione per liuto e per strumenti a tastiera della Chanson ( *) vocale francese, le cui caratteristiche consistevano nella totale sottomissione della musica all'espressione poetica e in un ritmo ben determinato.

(*) Val la pena ricordare che fin dal Rinascimento in Francia la Canzone popolare tese a differenziarsi dalla forma letteraria con regole ormai proprie, e questa vitalità proseguì nei secoli successivi fino alla rivoluzione francese (rammentiamo La Marsigliese ) e di qui ai giorni nostri.

Nel Seicento il Marino e il Chiabrera sperimentarono nuovi schemi ancor più semplificati, fatti di endecasillabi e settenari oppure di soli settenari.

Questo modello con stanze abbreviate, senza un'articolazione interna, detto Ode-Canzonetta o semplicemente Canzonetta, ebbe molta fortuna nel Settecento e perfino nell'Ottocento.

Il Melodramma (o Opera Lirica ) è una composizione teatrale tutta in musica e versi , che nasce con la Camerata Fiorentina (o Camerata dei Bardi , perché si riuniva a Firenze in casa del conte Bardi) propugnatrice dell'ideale di “recitar cantando”: la nuova musica, cioè, doveva essere al servizio del testo poetico, per metterne in rilievo tutto il valore.

Il primo melodramma, ” Euridice ”, di Jacopo Peri (1561-1633) venne rappresentato per le nozze di Enrico IV e Maria De' Medici nel 1600.

Due anni dopo, nel 1602, si rappresentò un'opera, di Rinuccini e Caccini, con lo stesso titolo e con il medesimo soggetto, cioè il mito di Orfeo e Euridice.

Questo genere poetico-musicale arrivò a dignità d'arte con Claudio Monteverdi , che si opponeva alla musica polifonica del suo tempo, ritenendola arida e incapace di dare valore al testo poetico.

 

Nel Settecento, ebbero grandissima diffusione le quartine del Metastasio, più propriamente chiamate Arie o Ariette , perché nate appunto per esser musicate.

Riprendiamo i versi centrali della canzonetta “ La Gelosia ”:

Bei labbri che Amore

formò per suo nido,

non ho più timore.

Vi credo, mi fido:

giuraste d'amarmi;

mi basta così.

Se torno a lagnarmi

che Nice m'offenda,

per me più non splenda

la luce del dì.

famosi anche i versi successivi, che vennero musicati dal grande Paisiello:

Io lascio un incostante:

tu perdi un cor sincero:

non so di noi primiero

chi s'abbia a consolar.

So che un sì fido amante

non troverà più Nice:

che un'altra ingannatrice

è facile trovar.

Le Arie potevano essere indipendenti, come le nostre Romanze o essere inserite all'interno di in un Melodramma.

Da quel secolo innanzi, si può dire però, che la strada della poesia letteraria e della poesia per musica andò sempre più divergendo.

Nell' Ottocento Giacomo Leopardi, ispirandosi alle forme del madrigale cinquecentesco, al dramma pastorale e all'idillio, alternando liberamente endecasillabi e settenari, con rime, talora interne, o anche irrelate, riprende gli schemi innovatori sei-settecenteschi di stanze irregolari, ampie e indivisibili, dando vita alla Canzone libera (o Leopardiana ), forma peraltro già tentata senza molto successo nel Seicento da Alessandro Guidi .

L a “ Canzone ”, nel senso moderno che attribuiamo a questo termine (cioè di musica e canto secondo gli schemi tradizionali di canto popolare), ebbe in Italia caratteristiche autonome nelle varie regioni, senza mai riuscire a raggiungere una sua struttura unitaria e codificata.

La tardiva unificazione politica del nostro Paese, i dialetti, l'analfabetismo, la scarsa comunicazione tra una regione e l'altra, l'inesistenza di mezzi di trasmissione impedirono di fatto la diffusione di canzoni in lingua italiana a livello nazionale.

Solo la Canzone Napoletana , tra il 1800 e il 1850, si caratterizzò fortemente sia per la validità dei testi, sia per la musica, spesso opera di celebri autori, quali Donizetti, Tosti, D'Annunzio o Di Giacomo.

Da essa può esser fatta derivare la canzone italiana in lingua.

Anche altri patrimoni dialettali hanno comunque contribuito alla nascita della canzone italiana con brani divenuti famosi, come la romanesca “Affaccete Nunziata”, o come gli stornelli e le serenate toscane. Da non dimenticare anche il repertorio dei canti alpini, conosciuto da molti soldati.

La prima vera canzone in lingua italiana, “ Santa Lucia ”, risale soltanto al 1848.

Se ne riportano due strofe:

Sul mare luccica

l'astro d'argento;

placida è l'onda,

prospero è il vento.

Venite all'agile

barchetta mia,

Santa Lucia!

Santa Lucia!

 

Con questo zeffiro

così soave,

oh1 come è bello

star sulla nave!

su, passeggeri,

venite via!

Santa Lucia!

Santa Lucia!

 

Questa canzone (di cui non si conosce l'autore del testo originale) fu tradotta in lingua italiana dal dialetto napoletano da un certo Cossovich; per la melodia si disse autore il compositore napoletano Teodoro Cottrau (1827 – 1879) che ne curò la pubblicazione insieme ad altri antichi canti di Napoli.

 

La Canzone italiana moderna, le cui origini, come si è detto, sono da ricercare nelle Canzoni dialettali, nelle Romanze, nelle Serenate e nel repertorio del Cafè-Chantant, ha raggiunto la massima diffusione solo con l'avvento della radio e dell'industria discografica.

Negli ultimi anni, però, la nostra Canzone ha risentito di influenze straniere ed ha perso la sua melodicità, assumendo i ritmi spesso ripetitivi della musica moderna americana, senza riuscire ad acquisire un nuovo stile caratteristico, che la distingua dalla vasta produzione canora ormai comune a tutto il mondo occidentale.

 

Gioia Guarducci