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IL POETA E L' IMMAGINE DI SE'

di Gioia Guarducci

da "Il Dolce Stile Eterno" supplemento de L'Alfiere di Gennaio, Giugno e Ottobre 2006


I poeti, sia che contemplino la natura, la bellezza del creato, sia che cantino la donna amata, la divinità, sia che proclamino un ideale di patria, di libertà esprimono in qualche modo se stessi.

Indagano, interrogano, cercano il filo spezzato, il bandolo della matassa, per arrivare a scoprire la verità in ciò che li circonda, per giungere al fine ultimo dell'intero universo, ma in realtà essi, a ben vedere, vanno solo in cerca del proprio “IO”. La poesia lirica in particolare è un "dialogo con se stesso", è un denudare la parte più intima dell'anima per cercar di svelare il proprio cuore, come chiaramente vediamo in questi versi che Giacomo Leopardi scrisse quattro anni prima della sua morte:

A Se Stesso

Or poserai per sempre,
stanco mio cor. Perì l'inganno estremo,
ch'eterno io mi credei. Perì. Ben sento,
in noi di cari inganni,
non che la speme, il desiderio è spento.
Posa per sempre. Assai
palpitasti. Non val cosa nessuna
i moti tuoi, né di sospiri è degna
la terra. Amaro e noia
la vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
T'acqueta omai. Dispera
l'ultima volta. Al gener nostro il fato
non donò che il morire. Omai disprezza
te, la natura, il brutto
poter che, ascoso, a comun danno impera,
e l'infinita vanità del tutto.

Forse immaginiamo il poeta in attesa di ispirazione, davanti a un foglio di carta ancora non scritto e lo seguiamo in questo itinerario fino a vibrare con lui quando la sua parola si fa arte nel momento in cui riesce ad esprime compiutamente quanto ha in sé di meraviglioso, di universale. Dalla lettura di un testo cerchiamo a volte di risalire all' identità del poeta, pochi versi e riconosciamo l'autore: Dante, Petrarca, Leopardi…, ma se d'improvviso ci troviamo innanzi un dipinto o una foto che ritrae il poeta, ecco che ci ritraiamo meravigliati: quella fisionomia, quegli occhi, quel naso, quel volto non corrispondono affatto all'immagine che idealmente ce ne eravamo fatta.

La sua figura ci appare troppo normale, banale quasi, colui che vediamo ritratto non combacia con i versi di lui che conosciamo così bene, eppure dietro quella fronte albergava lo spirito della Poesia.

Molti artisti, come ad esempio i pittori, hanno lasciato il loro autoritratto (a volte anche per la necessità di trovare un modello a buon mercato, come faceva Vincent Van Gogh che scriveva: "Si dice - ne sono convinto - che sia difficile conoscere se stessi, ma non è pur facile dipingersi. Così in mancanza di un modello diverso, in questo momento sto lavorando al ritratto di me stesso...") .

Molti pittori, poi, pur non avendo lasciato un vero e proprio autoritratto, hanno prestato i loro tratti somatici a qualche personaggio dei loro quadri.

I poeti, invece, assai raramente hanno descritto il loro aspetto fisico, forse perché vedevano nell'autoritratto una velleità narcisistica e una affermazione egocentrica di sé.  Un “autoritratto” viene sentito non solo come dialogo con se stesso, con la propria immagine, ma anche, nella traccia sensibile del tratto somatico, come ricerca di verità.

Vi sono stati però autori che hanno tratteggiato con i loro versi il proprio ritratto fisico o spirituale.

Per limitarci solo all'Otto e al Novecento, ecco l'Alfieri, il Foscolo, il Manzoni intenti a raffrontare l' ”io interno” con l' altro “io specchiato” e a scrivere così di sé, quasi a tracciare il proprio profilo fisico.

Autoritratto del poeta

Uom, di sensi, e di cor, libero nato,
fa di se' tosto indubitabil mostra.
or co' vizi e i tiranni ardito ei giostra,
ignudo il volto, e tutto il resto armato:

or, pregno in suo tacer d'alto dettato,
sdegnosamente impavido s'inchiostra;
l'altrui vilta' la di lui guancia innostra;
ne' visto e' mai dei dominanti a lato.

Cede ei talor, ma ai tempi rei non serve;
abborrito e temuto da chi regna,
non men che dalle schiave alme proterve.

conscio a se' di se stesso, uom tal non degna
l'ira esalar che pura in cor gli ferve;
ma il sol suo aspetto a non servire insegna.

(Vittorio Alfieri)

Oppure anche:

Sublime specchio di veraci detti...

Sublime specchio di veraci detti,
mostrami in corpo e in anima qual sono:
capelli, or radi in fronte, e rossi pretti;
lunga statura, e capo a terra prono;

sottil persona in su due stinchi schietti;
bianca pelle, occhi azzurri, aspetto buono;
giusto naso, bel labro, e denti eletti;
pallido in volto, più che un re sul trono:

or duro, acerbo, ora pieghevol, mite;
irato sempre, e non maligno mai;
la mente e il cor meco in perpetua lite:

per lo più mesto, e talor lieto assai,
or stimandomi Achille, ed or Tersite:
uom, se' tu grande, o vil? Muori, e il saprai.

(Vittorio Alfieri)

 

Il proprio ritratto

Solcata ho fronte, occhi incavati intenti;
crin fulvo, emunte guance, ardito aspetto;
labbri tumidi arguti, al riso lenti;
capo chino, bel collo, irsuto petto:

membra esatte; vestir semplice eletto;
ratti i passi, il pensier, gli atti, gli accenti:
prodigo, sobrio; umano, ispido, schietto;
avverso al mondo, avversi a me gli eventi;

mesto i più giorni e solo; ognor pensoso;
alle speranze incredulo e al timore;
il pudor mi fa vile; e prode l'ira:

cauta mi parla la ragion; ma il core,
ricco di vizi e di virtù, delira:
Morte, tu mi darai fama e riposo.

(Ugo Foscolo)

  

Autoritratto

Capel bruno; alta fronte; occhio loquace;
naso non grande e non soverchio umìle;
tonda la gota e di color vivace;
stretto labbro e vermiglio; e bocca esìle;

lingua or spedita or tarda, e non mai vile,
che il cor favella apertamente, o tace,
giovin d'anni e di senno; non audace;
duro di modi, ma di cor gentile.

La gloria amo e le selve e il biondo iddio;
spregio, non odio mai; m'attristo spesso;
buono al buon, buono al tristo, a me sol rio.

A l'ira presto, e più presto al perdono;
poco noto ad altrui, poco a me stesso:
gli uomini e gli anni mi diran chi sono.

(Alessandro Manzoni)

 

Altri poeti hanno voluto tracciare invece un ritratto spirituale, come possiamo leggere nei versi che seguono.

I trentacinque anni

Grossi*, ho trentacinque anni, e m'è passata
quasi di testa ogni corbelleria;
o se mi resta un grano di pazzia,
da qualche pelo bianco è stemperata.

Mi comincia un'età meno agitata
di mezza prosa e mezza poesia;
età di studio e d'onesta allegria,
parte nel mondo e parte ritirata.

Poi calando giù giù di questo passo,
e seguitando a corbellar la fiera,
verrà la morte e finiremo il chiasso.

E buon per me, se la mia vita intera
mi frutterà di meritare un sasso
che porti scritto:”Non mutò bandiera!”.

(Giuseppe Giusti)

* Tommaso Grossi, amico del Poeta

 

L' immagine di me voglio che sia

L'immagine di me voglio che sia
sempre ventenne, come in un ritratto;
amici miei, non mi vedrete in via,
curvo dagli anni, tremulo, e disfatto!
Col mio silenzio resterò l'amico
che vi fu caro, un poco mentecatto;
il fanciullo sarò tenero e antico
che sospirava al raggio delle stelle,
che meditava Arturo e Federico,
ma lasciava la pagina ribelle
per seppellir le rondini insepolte,
per dare un'erba alle zampine delle
disperate cetonie capovolte...

(Guido Gozzano)

 

Riportiamo di seguito un brano da Italia di Giuseppe Ungaretti

Sono un poeta
un grido unanime
sono un grumo di sogni
Sono un frutto
d'innumerevoli contrasti d'innesti
maturato in una serra.

 

Così passo i miei giorni

Così passo i miei giorni, i mesi, gli anni.
Altro non chiedo in gioventù piacere
che tessere nell'ombra vuoti inganni,
care immagini sì, ma menzognere.

Solo a volte mi mescolo alle altere
genti del mondo. E anch'io quei loro affanni
provo: non cure tacite severe,
ma le lotte crudeli e l'onte e i danni.

Onde poi ritornando all'oziosa
pace dei sogni miei lunghi e fatali,
trovo ancora più dolci i colli aprichi,

il mar, gl'interminabili viali,
ove al rezzo dei grandi alberi antichi
il mio cuore s'addorme e si riposa.

(Umberto Saba)

 

Altri si sono posti la domanda fatidica: “Chi sono?”

Chi sono?

Chi sono?
Son forse un poeta?
No, certo.
Non scrive che una parola, ben strana,
la penna dell'anima mia:
"follia".
Son dunque un pittore?
Neanche.
Non ha che un colore la tavolozza dell'anima mia:
"malinconia".
Un musico, allora?
Nemmeno.
Non c'è che una nota
Nella tastiera dell'anima mia:
"nostalgia".
Son dunque...che cosa?
Io metto una lente
Davanti al mio cuore
per farlo vedere alla gente.
Chi sono?
Il saltimbanco dell'anima mia.

(Aldo Palazzeschi)

 

Chi sei, chi sono 

Da qualche tempo una voce
perfida che non s'oblia
rivolge all'anima mia
una domanda feroce.

Oh come, come vorrei
rispondere! Son due sole
parole, son due parole
piccolissime: chi sei?

Rispondere! Vorrei bene
far tacere questa voce
additando la mia croce,
numerando le mie pene;

ma quando ascolto il suono
tristissimo al cuore mio
solo e tremante anch'io,
dico e ridico: chi sono?

(Marino Moretti)

 

Non come gli altri

Io non son come gli altri e mi dispiace.

Io non son come gli altri, è un mio sconforto.
Io non son come gli altri, io so chi piace.
Io non son come gli altri, io vedo storto.

Io non son come gli altri, amo chi giace.
Io non son come gli altri, io penso all'orto.
Io non son come gli altri e non ho pace.
Io non son come gli altri e son già morto.

(Marino Moretti)

 

E infine Eugenio Montale che nella poesia “ Non chiederci la parola ” ha detto quello che forse è più vero: che è impossibile per l'uomo conoscere fino in fondo se stesso:

“Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo
ciò che non vogliamo.”

Gioia Guarducci