Le rubriche
UN POETA NEL CUORE
Leggere per non dimenticare
di Gioia Guarducci
tratto da L'Alfiere, rivista letteraria della "Accademia V.Alfieri" di Firenze
ALFONSO GATTO
Alfonso Gatto nacque a Salerno nel 1909. La sua era una famiglia di gente di mare che proveniva dalla Calabria. Terminate le scuole superiori, nel 1926 si iscrisse all'Università di Napoli, senza però portare a termine gli studi. La sua vita fu piuttosto travagliata, fece svariati lavori: commesso di libreria, istitutore di collegio, correttore di bozze, giornalista, insegnante.
Nel 1932 uscì la sua prima opera "Isola" che lo collocò fra gli "ermetisti" a fianco di Ungaretti. Collaborò a molte riviste letterarie d'avanguardia (dall' "Italia Letteraria" alla "Rivista Letteratura", a "Circoli", a "Primato", alla "Ruota"). Nel 1938 fondò a Firenze, con la collaborazione di Vasco Pratolini "Campo di Marte", ma il periodico durò un solo anno.
A causa del suo dichiarato antifascismo, venne arrestato e trascorse sei mesi nel carcere di San Vittore a Milano. A partire dal 1943 fece parte della Resistenza. A guerra finita, fu direttore di "Settimana" , poi co-direttore di "Milano-sera" ed inviato speciale dell'Unità. Nel 1941 Gatto prendendo una posizione di rilievo nella letteratura di ispirazione comunista, ricevette la nomina “per chiara fama” a docente di Letteratura italiana presso il Liceo Artistico di Bologna. In seguito, nel 1951, lasciò polemicamente il partito, dichiarandosi comunista "dissidente".
Alfonso Gatto recitò in alcuni film (nel “Vangelo secondo Matteo” di Pasolini, interpretò la parte dell'Apostolo Andrea). Negli ultimi anni della vita si dedicò alla critica dell'arte e della pittura.
Morì per un incidente stradale presso Orbetello, a Capalbio (GR), l'8 marzo del 1976.
Di lui è rimasta l'immagine di scrittore coinvolto dal fermento della vita, ma comunque lieto di fermare sulla carta ogni palpito, ogni emozione in un linguaggio ricco sempre di motivi e di stupori nuovi. Gatto, passò attraverso varie esperienze: dai versi politici, alla poesia umanitaria, alla meditazione della morte e alla contemplazione razionale del tramutare indecifrabile della vita.
Quelli che seguono sono gli ultimi versi, scritti dal poeta la notte tra il 5 e il 6 marzo 1976, due giorni prima di perdere tragicamente la vita.
Quante volte mi fu vicina, quante
la morte per sorprendermi, quel giorno
che uscendo dalla nebbia, dalle piante
del parco solo me la vidi intorno
una striscia d'azzurro sull'argento
del cielo, alla mia gola con la mano
(stretto) senza più voce mi trovai col mento.
Non ricordavo il sonno, era passata
la notte sulla ghiaia dei miei denti.
Nella poesia di Gatto il motivo dell'amore viene interpretato in ogni tonalità. Il poeta, dopo l'esperienza dell'Ermetismo, pur rientrando dal punto di vista formale nella tradizione classicheggiante, non dimentica le esperienze più interessanti del Novecento e sa sempre cogliere il ritmo della lingua e la suggestione della parola, rielaborando con ricchezza di sfumature i vari aspetti della vita.
Della produzione poetica di Alfonso Gatto da ricordare le raccolte di poesie:
Morto ai paesi, 1937
Poesie, 1939
L'allodola, 1943
La spiaggia dei poveri, 1944
Amore della vita, 1944
Il sigaro di fuoco, 1945
La forza degli occhi, 1945
Il capo sulla neve, 1947
Nuove poesie, 1949
La madre e la morte, 1959
Poesie, 1961
Osteria flegrea , 1962
Poesie d'amore, 1963
La storia delle vittime, 1966
Rime di viaggio per la terra dipinta, 1969
La raccolta di poesie " Desinenze " viene pubblicata postuma a Milano nel 1977.
Nelle poesie di quest'ultima raccolta, Gatto sente la morte vicina e la evoca continuamente, ma con una sorta di fiduciosa attesa:
Nella morte le timidi abitudini
di sempre ti faranno compagnia
(Il miele)
Oltre che alla poesia Gatto si dedicò alla prosa pubblicando : " La sposa bambina " 1944,
" La coda di paglia " 1948,
" Carlomagno nella grotta " 1962
e inoltre si cimentò nell'opera per il teatro con " Il duello " (1962).
ALCUNE POESIE
Lelio
La tua tomba, bambino,
vogliamo sia sbiancata
come una cameretta
e che vi sia un giardino
d'intorno e l'incantata
pace d'una zappetta.
Era un dolce rumore
che tu lasciavi al giorno
quel cernere la ghiaia
azzurra e al suo colore
trovar celeste intorno
la sera. Ora, che appaia
la luna e del suo vento
lasci più solo il mondo,
ci sembrerà d'udire
nell'aria il tuo lamento.
Era un tuo grido a fondo
l'infanzia, un rifiorire…
Inventaci la morte,
o bambino, i tuoi segni
come d'un gioco infranto
rimasero alla sorte
del vento, ai suoi disegni
di nuvole e di pianto.
Ogni giorno che passa
è un ricadere brullo
nell'ombra che c'invita.
Irrompi a testa bassa
nel ridere, fanciullo,
devastaci la vita
un'altra volta e vivi.
Chiesa veneziana
Così, da sempre, come una memoria
che mai giunge a sbiadirsi, che mai perde
la traccia immaginosa, questa storia
di pietra e d'acqua, di laguna verde,
tratteggiata dai neri colombari
delle mura, da lapidi di rosa,
s'è fatta chiesa aperta agli estuari,
all'incrocio dei venti. Non riposa
mai tomba che non veda la sua morte
frangersi ancora contro il nero eterno.
E le gondole, battono alle porte
i lugubri mareggi dell'inverno.
Paesetto di Riviera
La sera amorosa
ha raccolto le logge
per farle salpare
le case tranquille
sognanti la rosa
vaghezza dei poggi
discendono al mare
in isole, in ville
accanto alle chiese .
San Marco
Firenze grande e morta
nella sera e nel fiume,
una lapide effimera sia vento
al dolce nome, al grigio della porta.
Come rapida polvere un alone
fulvo di chiese brulica per l'agro
cielo serale e migra ove sia tomba
lieta degli anni a ricordarmi il mare.
Povertà come la sera
Torna povera d'amore
nel ricordo l'erba e a sera
reca solo quest'odore
della morta primavera,
questi prati freschi al velo
della corsa che negli occhi
dei bambini è quasi il cielo,
questo sogno che non tocchi
liberandolo in segreto
come l'aria dei tuoi colli.
Resti limpida se lieto
di tristezza e d'aria volli
povertà come la sera
per spogliarti sino al volto,
sino agli occhi in cui dispera
questa luce, se t'ascolto
vana ai limiti drl cielo
nel clamore aperta e rosa
come nube che al suo gelo
torna vaga e si riposa.
Resti povera d'oblio
lungo il prato che al suo muro
di celeste imbianca, addio,
nel lasciarti anche il futuro
smemorata voce annotta.
Osteria Flegrea
Come assidua di nulla al nulla assorta
la luce della polvere! La porta
al verde oscilla, l' improvvisa vampa
del soffio è breve.
Fissa il gufo
l' invidia della vita,
l' immemore che beve
nella pergola azzurra del suo tufo
ed al sereno della morte invita.
Gli occhi tristi
Le labbra inaridite, gli occhi tristi
nel lume fioco della stanza, al vetro
della sera t'attendo. Vivi, esisti
ma lontana, di freddo, eppure dietro
la tua nuca d'un soffio la mia mano
– io la ricordo, un soffio – a dirti amore
quasi svaniva, nevicava piano
l'azzurro d'ogni cosa, sul tuo cuore
ascoltavo la terra farsi grande.
Piuma di tenerezza dove sei?
Ora il silenzio chiude le domande
e la voce all'accorrere dei miei
passi risponde nulla a chi mi chiede
di te, di me. Di spalle sulla porta
a fermarla per sempre, e col mio piede
a battere, ripeto nulla, è morta.
Canto alle rondini
Questa verde serata ancora nuova
e la luna che sfiora calma il giorno
oltre la luce aperto con le rondini
daranno pace e fiume alla campagna
ed agli esuli morti un altro amore;
ci rimpiange monotono quel grido
brullo che spinge già l' inverno, è solo
l' uomo che porta la città lontano.
e nei treni che spuntano, e nell' ora
fonda che annotta, sperano le donne
ai freddi affissi d' un teatro, cuore
logoro nome che patimmo un giorno.
All'alba
Come la donna affonda e dice vieni
dentro più dentro dov'è largo il mare.
Come la donna è calda e dice vieni
dentro più dentro dov'è caldo il pane.
E dirla noi vorremo mare pane
la donna sfatta che ci prese all'alba
dentro il suo petto e ci nutrì di sonno.
Poesia d' amore
Le grandi notti d' estate
che nulla muove oltre il chiaro
filtro dei baci, il tuo volto
un sogno nelle mie mani.
Lontana come i tuoi occhi
tu sei venuta dal mare
dal vento che pare l' anima.
E baci perdutamente
sino a che l' arida bocca
come la notte è dischiusa
portata via dal suo soffio.
Tu vivi allora, tu vivi
il sogno ch' esisti è vero.
Da quanto t' ho cercata.
Ti stringo per dirti che i sogni
son belli come il tuo volto,
lontani come i tuoi occhi.
E il bacio che cerco è l' anima.
|