Le rubriche
UN POETA NEL CUORE
Leggere per non dimenticare
di Gioia Guarducci
tratto da L'Alfiere, rivista letteraria della "Accademia V.Alfieri" di Firenze
ANTONIA POZZI
Antonia Pozzi, una delle voci femminili più sensibili della poesia italiana del Novecento, nasce a Milano il 13 febbraio 1912 in una famiglia di alto rango borghese: il padre, Roberto Pozzi, è un noto avvocato e la madre, la contessa Lina, nipote dello scrittore Tommaso Grossi, è figlia di proprietari di una vasta tenuta terriera. Vive in una elegante casa milanese e d'estate si trasferisce con i suoi a Pasturo, in Valsassina, nella settecentesca villa di famiglia, dove nel suo piccolo studio che guarda i monti, ama isolarsi e ricevere gli amici più cari.
Riceve un'educazione raffinata: parla correntemente francese, inglese e tedesco ed ama i classici, frequenta le scuole più prestigiose, suona il pianoforte, coltiva il gusto per la fotografia e, benché abbia una congenita debolezza alle articolazioni, si dedica allo sport (sci, nuoto, bicicletta, scalate in montagna, equitazione).
Nel 1927 Antonia frequenta a Milano la prima classe del liceo classico Manzoni, dove insegna latino e greco il professore Antonio Maria Cervi, poco più che trentenne, da cui rimane subito affascinata per la vasta cultura, la dirittura morale e la passione che pone nell'insegnamento. Ma lei ha solo 16 anni e la sua ricca famiglia la “protegge” e non le consente di dare spazio a questa intesa.
L'attrazione che ben presto si trasforma in un amore intenso e tragico, perché ostacolato con tutti i mezzi. Il Cervi avrebbe voluto sposarla ma viene respinto e umiliato dall'avvocato Pozzi. Si dice anche che Antonia appena ventenne già tentasse il suicidio e fosse salvata da una lavanda gastrica. La giovane lotta inutilmente contro il rifiuto della famiglia. Il padre riesce a far trasferire il professore a Roma, in modo da allontanarlo definitivamente. L'amore di Antonia per il suo professore, affiora nella lettera alla nonna dell'agosto 1928: “ Ho imparato che cosa sia il dolore. Tu non immagini che cosa fosse lui per me. Io avevo avuto la fortuna di incontrarlo nell'età inquieta in cui tutto il nostro essere sboccia e anela alla vita, in cui ogni influenza esterna lascia nell'anima un'influenza indelebile, in cui ci torturiamo ricercando l'inizio della nostra via e l'indirizzo del nostro cammino nel mondo ... Con la parola e con l'esempio egli mi ha dato uno scopo e una fede: mi ha insegnato a guardare più in alto e più lontano; mi ha additato la via per diventare più buona... ”.
L'amore per la montagna, coltivato fin da giovanetta quando trascorreva le vacanze a Pasturo, paesino ai piedi della Grigna, la conduce spesso sulle cime alpine, dove vive emozioni ed esperienze, che si traducono in poesia (« vivo della poesia come le vene vivono del sangue », scrive nel suo diario) o in belle pagine di prosa.
Nel 1930 si iscrive alla facoltà di lettere e filosofia del'università statale di Milano, dove frequenta i corsi del professor Antonio Banfi. In quegli anni trova nuove forti amicizie nel gruppo degli allievi del Banfi tra cui Vittorio Sereni, Luciano Anceschi, Giancarlo Vigorelli, Mario Monicelli, Alberto Mondadori, Remo Cantoni, i fratelli Treves. Questi si riunivano spesso in casa di Antonia, che per la sua disponibilità economica poteva permettersi di avere dall'estero oltre che le migliori opere della letteratura europea e americana anche i libri messi all'indice dal fascismo. Il clima culturale intenso, speculativo, tutto maschile (la Pozzi è una delle rare donne che frequentano l'Università) la portano ad un'eccessiva autocritica, a un travaglio interiore crescente per il sentimento di impotenza nei confronti della realtà.
Nel 1931 è mandata in Inghilterra per un soggiorno studio che aveva l'intento di allontanarla dal Cervi. Nel 1933 la rottura definitiva, voluta sembra dal professore, ella deve rinunciare alla “vita sognata”, “non secondo il cuore, ma secondo il bene”, « e tu sei entrata / nella strada del morire », scrive di sé. Alcune frasi della “Vita sognata” potrebbero far supporre che la relazione tra i due possa essere stata più che platonica, Antonia augura a lui di trovare una nuova innamorata “ ...Oh, possa tu incontrare la donna che ti ridia la creatura che abbiamo sognata e che è morta... ” dalla quale poter avere il figlio così spesso immaginato con le solite frasi “ ...Voglio che il bambino abbia gli occhi come i tuoi... ”. Ma questo affetto resterà sempre presente in lei anche quando, forse per riempirne il vuoto, cercherà di vivere altri amori, altri progetti.
Nel 1934 compie una crociera in Sicilia, Grecia ed Africa mediterranea, scoprendo finalmente da vicino i resti di quelle civiltà tanto amate. Tra il 1934 e il 1935 si innamora di Remo Cantoni che, convalescente dopo un attacco di tubercolosi, viene ospitato a Pasturo. Si tratta però di un rapporto a senso unico, dacché non si concluderà in una duratura relazione affettiva.
Si laurea con lode il 19 novembre 1935, discutendo una tesi sulla formazione letteraria di Flaubert. Fra il 1935 e il 1937 è in Austria e in Germania, per approfondire la conoscenza della lingua e della letteratura tedesca. Ma Antonia, pur vivendo in un mondo agiato e raffinato, è ipersensibile, costantemente inquieta e vive dentro di sé un incessante dramma esistenziale, mentre i suoi album si riempiono di poesia e di immagini. Né l'insegnamento, iniziato nel ‘37 e ripreso nel '38, quasi un tentativo di emancipazione dai genitori, né l'impegno sociale, né il progetto di un romanzo ispirato alla vicenda della sua famiglia nella storia della Lombardia, né la poesia, che, insieme con la fotografia, rimane il vero cardine della sua vocazione artistica, riescono a soddisfarla. La poetessa sembra condurre una vita normalissima, ma la salute malferma non l'aiuta ad affrontare la vita e ancor più forse la mancanza di certezze rassicuranti nella vita contribuiscono al suo triste epilogo. Nel 1938 scrive a Vittorio Sereni “ Forse l'età delle parole è finita per sempre ”.
Ella non ha alcuna fede religiosa e dice: “ Io non cerco Dio perché non sento il bisogno di cercarlo; perché credo che la mia vita può essere moralissima anche se io faccio le cose per se stesse e non perché Dio lo vuole… ” ma anche confessa: “ Non avere un Dio/ non avere una tomba/non avere nulla di fermo/ ma solo cose che fuggono-/ essere senza ieri/ essere senza domani/ ed accecarsi nel nulla-/ aiuto-/ per la miseria/ che non ha fine ”.
La cronaca racconta: “La mattina del 2 dicembre 1938 va regolarmente a scuola; i ragazzi la scorgono però piangere sommessamente. Verso le 11 accusa un «malore»; saluta i suoi allievi sollecitandoli a «essere buoni» e si dirige a Chiaravalle, nella periferia milanese, mèta di comuni gite in bicicletta e di pomeriggi di studio. Si sdraia in un prato, e, assunta una dose massiccia di barbiturici, si lascia morire. Un contadino la scorge e dà l'allarme; viene portata al Policlinico ma, ormai agonizzante, è ricondotta a casa la sera del 3 dicembre. Muore quella stessa sera.”
Nel messaggio lasciato ai genitori scriveva: “ Ciò che mi è mancato è stato un affetto fermo, costante, fedele, che diventasse lo scopo e riempisse tutta la mia vita. […] Fa parte di questa disperazione mortale anche la crudele oppressione che si esercita sulle nostre giovinezze sfiorite. […] Direte alla Nena che è stato un male improvviso, e che l'aspetto. Desidero di essere sepolta a Pasturo, sotto un masso della Grigna, fra cespi di rododendro. Mi ritroverete in tutti i fossi che ho tanto amato. E non piangete, perché ora io sono in pace. La vostra Antonia ».
Oggi Antonia Pozzi riposa nel piccolo cimitero di Pasturo, piccolo borgo montano vicino Lecco.
La famiglia negherà la circostanza “scandalosa” del suicidio, attribuendo la morte a polmonite. Il suo testamento fu distrutto dal padre e poi trascritto “a memoria” da lui, che corresse e riscrisse quello che riteneva non in linea con il modello di figlia ideale che aveva sognato. Soprattutto eliminò in molte liriche la dedica all'uomo amato “per A.M.C.”.
Coloro che l'hanno conosciuta lessero questo suicidio come un atto estremo generato dalla profonda crisi del periodo storico che l'Italia attraversava, ma forse ancor più delle leggi razziali del 1938, che colpirono alcuni dei suoi più cari amici, come i fratelli Treves, pesarono su di lei la perdita delle illusioni d'amore e la consapevolezza di non essere stata amata mai per sé, ma solo e sempre per un'immagine imposta dalla famiglia e dalla società.
La poesia di Antonia Pozzi è quasi tutta incentrata nella ricerca di un punto fermo al quale aggrapparsi per superare i marosi della vita, per annullare tutte le contraddizioni e le incertezze esistenziali irrisolte.
Ha lasciato un ricco gruppo di poesie, pagine di diario e lettere. Più un saggio sulla formazione letteraria di Flaubert che fu la sua tesi di laurea. Tutti i suoi scritti furono pubblicati postumi.
La sua prima raccolta di versi col titolo “ Parole ” esce in edizione privata nel 1939 e venne poi ripubblicata in tre successive edizioni, l'ultima delle quali con prefazione di E.Montale: < La Pozzi stava già superando lo scoglio della poesia femminile … e alludiamo appunto ai rischi della cosiddetta “spontaneità”… neppure in lei si attua vera poesia senza lavoro di penetrazione e di stile, e che se il libro si legge con una agevolezza che non è di tanti altri, ciò avviene perché le fratture e le resistenze sono dissimulate … Si avverte in lei il desiderio di ridurre al minimo il peso delle parole, dalla generica gratuità femminile che è il sogno di tanti critici maschi. …Tecnicamente la sua lirica deriva dal versliberisme del principio del secolo (Ungaretti)… Un'area di uniformità era il suo limite più evidente: la purezza del suono e la nettezza dell'immagine il suo dono nativo… >.
Di recente, a cura di Onorina Dino e di Alessandra Cenni sono stati resi noti nel 1 985 i Diari e nel 1989 le Lettere (1925-1938) .
La vita di Antonia Pozzi è stata raccontata nel 2009 nel cine-documentario della regista milanese Marina Spada “Poesia che mi guardi”, presentato fuori concorso alla LXVI Mostra del Cinema di Venezia.
POESIE SCELTE
GUARDAMI: SONO NUDA
Guardami: sono nuda. Dall'inquieto
languore della mia capigliatura
alla tensione snella del mio piede,
io sono tutta una magrezza acerba
inguainata in un color avorio.
Guarda: pallida è la carne mia.
Si direbbe che il sangue non vi scorra.
Rosso non ne traspare. Solo un languido
palpito azzurrino sfuma in mezzo al petto.
Vedi come incavato ho il ventre. Incerta
è la curva dei fianchi, ma i ginocchi
e le caviglie e tutte le giunture
ho scarne e salde come un puro sangue.
Oggi, m'inarco nuda, nel nitore
del bagno bianco e m'inarcherò nuda
domani sopra un letto, se qualcuno
mi prenderà. E un giorno nuda, sola,
stesa supina sotto troppa terra,
starò, quando la morte avrà chiamato.
(Palermo 20 luglio 1929)
NAUFRAGHI
Naufraghi sugli scogli,
ognuno narra
a sé solo – la storia
di una dolce casa
perduta,
sé solo ascolta
parlare forte
sul deserto pianto
del mare -
Triste orto abbandonato l'anima
Si cinge di selvaggi siepi
Di amori:
morire è questo
ricoprirsi di rovi
nati in noi.
(19 dicembre 1933)
NON SO
Io penso che il tuo modo di sorridere
è più dolce del sole
su questo vaso di fiori
già un poco
appassiti -
penso che forse è buono
che cadano da me
tutti gli alberi -
ch'io sia un piazzale bianco deserto
alla tua voce - che forse
disegna viali
per il nuovo
giardino.
(4 ottobre 1933)
LIEVE OFFERTA
Vorrei che la mia anima ti fosse
leggera
come le estreme foglie
dei pioppi, che s'accendono di sole
in cima ai tronchi fasciati
di nebbia -
Vorrei condurti con le mie parole
per un deserto viale, segnato
d'esili ombre -
fino a una valle d'erboso silenzio,
al lago -
ove tinnisce per un fiato d'aria
il canneto
e le libellule si trastullano
con l'acqua non profonda -
Vorrei che la mia anima ti fosse
leggera,
che la mia poesia ti fosse un ponte,
sottile e saldo,
bianco -
sulle oscure voragini
della terra.
(5 dicembre 1934)
CONFIDARE
Ho tanta fede in te. Mi sembra
che saprei aspettare la tua voce
in silenzio, per secoli
di oscurità.
Tu sai tutti i segreti,
come il sole:
potresti far fiorire
i gerani e la zàgara selvaggia
sul fondo delle cave
di pietra, delle prigioni
leggendarie.
Ho tanta fede in te. Son quieta
come l'arabo avvolto
nel barracano bianco,
che ascolta Dio maturargli
l'orzo intorno alla casa.
(8 dicembre 1934)
LA VITA
Alle soglie d'autunno
in un tramonto
muto
scopri l'onda del tempo
e la tua resa
segreta
come di ramo in ramo
leggero
un cadere d'uccelli
cui le ali non reggono più.
(18 agosto 1935)
AMOR FATI
Quando dal mio buio traboccherai
di schianto
in una cascata
di sangue –
navigherò con una rossa vela
per orridi silenzi
ai cratèri
della luce promessa.
(13 maggio 1937)
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