I NOSTRI SOCI

 

Antologia di poesie di Leonora Fabbri, Alberto Dianda, Rosa Pia Vermiglio, Maria Salamone, Primo Conoscenti, Mario Macioce, Gabriella Semino, Enzo Gaia, Adriano Chierchini, Vittoria Zedda, Anna Cottini, Massimo Pinzuti, Roberta Degl'Innocenti, Tiziana Curti, Elena Zucchini, Gioia Guarducci, ed altri.

 

Leonora Fabbri

(Dalla rivista L'ALFIERE del Marzo 2023)

Leonora Fabbri, nata a Camporgiano (LU), laureata in Lingue e Letterature straniere a Firenze, ha trascorso molti anni a Londra, dove ha insegnato italiano, pubblicando anche due divertenti testi: “Ridiamo in italiano” e “Divertenti storie italiane”. Rientrata in Italia ha lavorato a lungo per una compagnia multinazionale.
Solo dopo essere andata in pensione si è potuta dedicare alla realizzazione dei suoi sogni : comporre poesie, studiare la musica, suonare il pianoforte, cantare in coro  e fare fotografie.
Nel 2000 è entrata a far parte dell’Accademia Alfieri e ne è diventata un’attiva collaboratrice. Ha pubblicato “Spicchi di gioiapoesie, racconti, immagini” (2008) e “La gioia continua – racconti, poesie .. e non solo” (2016). Sue poesie e racconti sono presenti in antologie  e periodici. Ama la letteratura, la musica, il canto, il ballo e la fotografia. Fa parte del Coro di Via Luna, diretto dal M° Ippolita Nuti,  del Centro Età Libera “La Luna – San Salvi” (Firenze), dove lavora come volontaria dal 2002, collaborando in particolare alla Rivista “Noi di Via Luna”. 

IO E…LA POESIA  

Mi ha sempre affascinato la poesia, così musicale, intima, descrittiva, concisa…
Ma cos’è la “poesia”? Non è un paesaggio, un fiore, un sorriso; questi elementi possono ispirare una poesia, che è un’opera letteraria in versi. Ma per essere resa universale deve esser frutto di un lavoro intenso di cesello, di perfezionamento, di  un’accurata ed elaborata scelta di parole, usando strumenti ben precisi.  
‘La poesia deve essere spontanea e deve esprimere i sentimenti direttamente sgorgati dal cuore’: questi sono luoghi comuni quasi sempre falsi. Oggi tutti scrivono “poesie”, ma la maggioranza scrive solo una sequenza di parole senza musicalità, che invece è l’elemento essenziale, che distingue la poesia dalla prosa. Per ottenere la musicalità è necessario studiarne le regole, come è necessario imparare la musica per suonare uno strumento musicale o la tecnica per dipingere un quadro o scolpire  una figura.
Roberto Benigni dice: “La poesia non è un raptus, ma un artigianato paziente. Ci vogliono freddezza e tempo per incastrare una accanto all’altra le parole.”   
Giovanni Pascoli scrive nella sua lirica ‘La poesia’: “Io sono una lampada ch’arde/soave/ nell’ore più sole e più tarde/nell’ombra più mesta, più grave,/più buona, o fratello”.
Mario Macioce, Presidente dell’Accademia Alfieri, poeta egli stesso, scrittore e prolifico conferenziere, afferma che “La poesia è l’incontro del linguaggio con la musica”.

Riporto una mia composizione, che conferma il mio concetto di poesia, che deve seguire i modelli classici con parole moderne, con versi di varia lunghezza (endecasillabi, settenari, ecc.), seguendo regole ben definite.   

 “La mia poesia”

Rivesto le parole con modelli
classici tramandati dal passato,
con versi che non sempre sono belli
ma per me sono un vino prelibato.

M’inebria la quartina e la terzina
a rime varie baciate e alternate;
così creo le ricette di cucina,
e sembrano più buone le portate!

Il merito va tutto all’Accademia
Vittorio Alfieri che è nata a Firenze;
insegna qui, incoraggia ed anche premia
chi vuol seguire le sue conferenze.

Ebbene sì, ho imparato come scrivere i miei componimenti poetici dall’Accademia Alfieri di Firenze, aderendo al movimento del “Dolce Stile Eterno”.
Ho cominciato tardi nella mia vita ma non è mai troppo tardi se desideriamo imparare, e imparando cose nuove restiamo giovani e vivi.
La poesia è un’arte ed ogni arte ha i suoi strumenti, che sono diversi tra loro.
Non è difficile imparare un’arte, tuttavia occorre sempre una forte passione per acquisirne la conoscenza e realizzare i propri sogni, ma ne vale la pena poiché alla fine comporre una poesia può dare una grande gioia, la gioia della creazione di qualcosa di unico.

 

NOTTE D'AMORE A ROMA

Era notte inoltrata lungo i Fori
appena illuminati dalla luna.
Furtivi dall'albergo andammo fuori
per incontrarci tardi verso l'una.

Giovane e travolgente la passione,
l'estasi, la follia che ancora impera!
Ricordo e forte sento l'emozione:
era l'inizio della primavera.

Mi è caro ogni ricordo con lui accanto!
Ironica sorrido e mi sovvengo
d'un paio di pantofole amaranto
dimenticate in camera d'albergo.

E su tutto imperava l'ombra austera
degli antichi Romani, quella sera.

 

 

Alberto Dianda

(Dalla rivista L'ALFIERE del Dicembre 2022)

BREVE STORIA DI UN ITALIANO IN AMERICA ( di Alberto Dianda)

  A 13 anni già suonavo il “sestino”, piccolo clarino,  nella Banda Comunale di Barga ed ero a conoscenza assai della musica.
  A 14 anni nell’estate, per non stare in giro, mio padre mi mandava dal Rossino, falegname,  poi  l’anno successivo dal Turri, idraulico, oppure dal Pioli, idraulico lattoniere, per la lavorazione del rame, dove imparai di scultura.
  A 17 anni, era l’estate 1943, presi la decisione di unirmi al gruppo locale dei partigiani, che facevano da guida agli americani sulle montagne pistoiesi. Fu una decisione che cambiò la mia vita. Fui fatto prigioniero dai tedeschi, ma fortunatamente riuscii a fuggire di prigione e mi ricongiunsi al gruppo dei partigiani, collaborando con l’American Buffalo 82 Division fino alla fine della guerra.
  Il seguente fatto è stato pubblicato dal “Giornale di Barga” (Natale 2010), col titolo “Il soldato americano ferito”.  Ne riporto una parte.
“Il 27 dicembre 1944 mi trovavo sulla Serra in casa dei miei zii… Mentre ci stavamo  dirigendo verso una catasta (di legna) sentimmo un gemito… Preoccupati decidemmo di dividerci e cominciammo a cercare per individuare il punto da cui proveniva quel suono… Zio Lino ci chiamò gridando:”Venite, è qui…” Si calò nella buca e, mentre alzava le foglie, apparve un soldato americano della Buffalo Division, ferito a un piede…Fu una vera impresa tirarlo fuori da quella buca. Lo portammo in salvo. I soldati tedeschi erano ancora in zona…Se qualcuno di loro si fosse accorto che nascondevamo un soldato americano sicuramente avrebbero dato fuoco alla casa e probabilmente ci avrebbero fucilato… Nessuno pensò alle conseguenze. Non appena le truppe indiane ripresero il controllo di Barga, un ufficiale britannico mandò dei soldati a prendere il commilitone. Da allora di quel soldato non si seppe più nulla.
Ancora oggi mi chiedo che fine abbia fatto e se sia sopravvissuto. Mi sarebbe piaciuto sapere se i nostri sforzi e i rischi corsi fossero serviti a salvare una vita.
  A 19 anni, solo con la licenza media, entrai nella ditta Nardini, ingrosso di alimentari e fabbrica di liquori, dove, dopo alcuni anni, arrivai ad essere rappresentante. Nel contempo avevo 13 poderi da amministrare, come fattore.
A tutto mi sono adattato per sbarcare il lunario.
  Nel 1958, all’età di 30 anni, decisi di emigrare in America, e andai da mio zio, nel Maryland. Mio zio aveva un’impresa di piastrellista. Dopo 8 mesi tornai a Barga a lavorare di nuovo col Nardini ma le cose andavano peggiorando così decisi di ritornare in America, nel New Jersey, dove vivo tuttora.
  Ero solo e la paura di non farcela era tanta. Perciò, pur di portare il piatto in tavola, mi adattai a fare di tutto: meccanico tornitore, meccanico container, riferman (sistemi di refrigerazione), saldatore, idraulico, elettricista, carpentiere, solo per citare alcuni mestieri. In nessuno però ho fatto carriera, questo è il mio rammarico. Ma sono stato fortunato. Mi ha aiutato avere ottima salute e incontrare buoni amici.
  Qui (in America) c’è l’opportunità di creare, pur con enormi sacrifici, una sistemazione economica migliore, però la vita sociale è molto diversa. Per i nati qui va bene, ma per noi emigrati è dura. Ho nostalgia di Barga, dove sono nato il 6 giugno 1928, e dove ho vissuto fino a 30 anni con molte soddisfazioni, circondato da tanti amici e amiche. È dal 1990 che la mia automobile, targata BARGA, circola in America. Per la promozione così fatta alla città di Barga, il sindaco Umberto Sereni mi assegnò il “San Cristoforo d’oro”, (San Cristoforo è il patrono di Barga), omaggio dato annualmente a coloro che si distinguono per meriti particolari.  
  Nel New Jersey mi sono fatto una famiglia. Mia moglie non c’è più ma i miei due figli, Linda e Carlo, hanno a loro volta formato le loro famiglie. In Italia torniamo solo in vacanza. La nostra madre terra è ormai l’America che è stata una vera madre per noi tutti ed anche per molti italiani che, come me, hanno dovuto lasciare l’Italia e andare all’estero per migliorare la loro vita, sperando un giorno di ritornare.
Qualcuno c’è riuscito, io no. Ho preso la cittadinanza americana nel 1963 e vorrei che sulla mia bara fosse posta una bandiera americana sotto la cui insegna ho combattuto per difendere la libertà.

 

 

 

Rosa Pia Vermiglio

(Dalla rivista L'ALFIERE del Settembre 2022)

Poesia, narrativa, canzoni, teatro e volontariato come Crocerossina sono le differenti strade intraprese da Rosa Pia che vive a Firenze .Con la poesia “Ultimo Tango” letta nel 2002 da Paolo Limiti in TV, ha vinto il 1° premio “ Dino Sarti” nel 2019 a Bologna. La stessa e altri testi sono stati recitati in teatro a Cordoba in Argentina, dopo essere stati tradotti in spagnolo. In teatro, oltre alla recitazione si è interessata alle colonne sonore scrivendone i testi; ha inoltre frequentato parallelamente alla recitazione il corso “ Il potere della Parola”, un cammino di interpretazione e lettura di testi con annessa dizione. Dietro richiesta, a Palazzo Borghese, ha presentato dei reportages con foto e commenti sui suoi viaggi in Oriente e Medio Oriente come Laos, Cambogia, Vietnam, Birmania, Tailandia,Yemen ecc.. Nel 2006 ha lavorato in Cameroun in un lebbrosario, che ospitava  anche bambini orfani di genitori morti per A.I.D.S.

 

IL RAGAZZO FELICE

La vecchia e sbuffante corriera procede con grandi scossoni, su per la ripida strada di montagna. Tutti salgono per andare alla festa del Patrono; nessuno scende; il caldo è soffocante; dai finestrini aperti appena un filo d'aria. I posti a sedere sono già tutti occupati. La signora col bambino è impegnata a farlo giocare; i due innamorati non vedono e sentono niente; un gruppo di giovani sono con lo sguardo fisso sul telefonino; altri viaggiatori sonnecchiano o dormono profondamente. Nello stretto corridoio, curvo, rattrappito, si fa strada  un vecchio, appoggiato al suo bastone. I suoi occhi chiedono aiuto: un posto a sedere; è invisibile a tutti.-
“Ragazzo, sii gentile - dice sommessamente - permettimi di sedere al tuo posto. Te ne sarò molto grato.”- Uno scossone più forte gli dà il coraggio di chiederlo a gran voce. Il ragazzo non sente, continua a far finta di dormire. Il vecchio prosegue traballando lungo il corridoio; nessuno si accorge di lui; è già quasi arrivato al fondo.
“ Signore venga, si accomodi al mio posto.” Si alza un giovane dal volto sereno e allegro. Con disinvoltura afferra le sue due stampelle; ha solo un arto e soprattutto un bel sorriso.
Il caldo soffocante sembra essersi trasfotmato in lame impietose di ghiaccio che colpiscono il volto di tutti.
Sale ancora sbuffando la corriera.  Tra larici e pini squarci di cielo s’affacciano a tratti..

 

Echi d'un tramonto

Rossi di sangue nell’aria già scura,
gli ultimi raggi d’un sole ormai stanco.
D’alberi e viottoli nei campi bruni
scompaiono i contorni e delle case
nebulosi s’innalzano quei tetti,
sotto l’esangue luna vaghi e incerti.

Sfumano nelle mezze tinte crudi,
ricordi che una musica lenisce
e nei pensieri diventa speranza,
del tempo la serena assoluzione;
mentre fantasmi gentili sorridono,
ritaglia volti effimeri la notte.

Degli usignoli quel dolce lamento
s’innalza nell’eterno divenire,
poi ricade nell’aria immota e inerte
e nel silenzio mesto dei cipressi;
si smorza il pianto antico e ricompone
nelle pieghe dell’anima gli strappi.

 

Il buio

Scavi dolore nel buio; feroce
strazi e trafiggi le carni e le cose.
Rimango alla finestra
e scheletriti rami
diventano cornice nello spazio
all’ultimo biancore
di raggi già sepolti,
a brividi di freddo e di paura.

 

 

Maria Salamone

(Dalla rivista L'ALFIERE del Giugno 2022)

Maria Salamone, nata a Montedoro (CL), residente a Cannes in Francia, è stata definita “poetessa del sogno e del sentimento”.  La sua vena poetica attinge alla sorgente della sua doppia ricchezza culturale italiana e francese. Trasferitasi giovanissima in Costa d'Avorio, vi è rimasta cinque anni, qui ha partecipato ad opere di beneficenza ed ha organizzato premi letterari nelle scuole. “La Madone du verbe”, come viene laggiù chiamata, è stata la prima donna ad essere ammessa al Rotary Club d’Abidjan-Cocody. Come riconoscimento, le è stata intitolata anche una biblioteca. Alcune sue poesie sono presenti, in vari Paesi d’Africa, nei testi scolastici di primo e secondo grado. Ha ottenuto numerosi premi internazionali e Montedoro, suo paese natio, le ha conferito la Medaglia d’Oro della Città e, in un monumento dedicato ai migranti, i versi di sue poesie sono stati incisi su blocchi di marmo. Ė autrice di due raccolte di poesia in lingua francese “De sentiments et de rêves” e “Pour un chant de vie” e “In cammino sulle vie del cuore” è l’ultima sua raccolta in lingua italiana.


W la Repubblica italiana

Dopo due guerre di estrema violenza
Fonti di strage, paura, sofferenza…
Nel due giugno del quarantasei 
Più che mai sovrana,
Nacque la Repubblica italiana :
Addio monarchia, fascismo, guerra…
Pace e amore
Canta il cuore, per la sua terra.

Dall’Alto Adige al basso Meridione,
Dalla Costa Smeralda all’Amalfitana,
Per mari, monti, colline…
Ovunque festosa suona la campana :
É nata la Repubblica italiana !

Una Repubblica per cui
Massivamente votarono le donne,
Che sull’altare del sacrifico
Avean perso padri, figli, mariti…
Persa ogni speranza,
Rifiorita con la Repubblica e con esultanza.

Da quel lontano due giugno del quarantasei
Tredici Capi di Stato, con patriottismo e onore
Han segnato il destino di una grande Nazione :
Stella fra le stelle dell’Unione Europea,
Perla fra le perle di una preziosa collana,
Viva la Repubblica italiana !


   Il richiamo della terra (acrostico)

Sulle ali del vento
    spinta da un soffio di malinconia,
  Avvolgendo l’animo di sogni
    speranze, sentimento...
  Libera da catene, da ogni prigionia,
    lontano vola, vagabonda la mia fantasia!
  Varcando cieli, mari, monti...
    albe sorgenti e cupi tramonti,
  Aleggiando lieve, in perfetta armonia,
    come rondine al nido
  Torno ad abbracciare la terra mia:
    grembo di colori, sapori, profumi del passato
  Ove alcuna ricchezza o bellezza al mondo
    ha mai sostituito, mai cancellato!
  Ricordi d’infanzia tinti di sorrisi, pianti, magia,
    che oggi si vestono di sola nostalgia.
  E se fosse languore ?... No!... Si chiama amore
    quel richiamo della terra che mi lacera il cuore.

 

Nell’anima del mare

Nella notte buia in balia del vento
Salpando l’ancora verso l’Occidente,
Su battelli di fortuna parte in mare
Fuggendo l’Africa, l’Asia, l’Oriente…

Gente dalla pelle bruna,
Dagli occhi fissi col terrore dentro ;
Gente che a nuova vita tende la mano
Di guerra e violenza è impastato il quotidiano.

Battelli di fortuna in balia del vento,
Pronti a sfidare, del mare, ogni tempesta :
Schiere di tombe sulla schiuma d’argento
E la Medusa dell’isola ne racconta la storia.

Storia di naufraghi sul mare di Lampedusa,
Di gente che non ha più passato né futuro ;
Gente che il mare ha accolto negli abissi
Senza distinzione di razza o di colore…

 

Liberamente...

Libera...  spezzando ogni catena
vorrei sentirmi libera :
libera come un sogno, un’aquila reale...
come il pensiero inviolabile e universale!

Inebriarmi... seppur oltraggiosamente
vorrei inebriarmi :
inebriarmi di vita, d’amore,
d’ogni battito del cuore...

Bella... oltre le brutture del mondo
vorrei sentirmi bella :
bella nel cuore, nell’animo,
nel profondo delle mie pupille!

Ribelle... ubbidendo alla voce del cuore
vorrei essere ribelle :
ribelle in questa giungla di belve e di belligeranti
pronti a sbranarsi per andare avanti!

Meravigliarmi... di tutto e di niente
vorrei meravigliarmi :
meravigliarmi all’alba, nel puro chiarore mattutino,
nell’ora del vespro, tinto d’oro e di rubino.

Messaggera... ali al vento
vorrei farmi messaggera :
messaggera d’un mondo di pace,
ove l’amore trionfa, ove ogni arma tace.

Commuovermi... nelle risa, nei pianti,
vorrei umanamente commuovermi :
commuovermi per un bimbo che corre ridendo,
per una rondine che, volando, danza col vento.

Naturale... malgrado l’impronta del tempo
vorrei rimanere naturale :
naturale come acqua di sorgente :
fresca, limpida, zampillante...

Tenace... senza arrendermi mai
più che mai vorrei essere tenace :
tenace nelle sfide, nelle lotte che, quotidianamente
affrontar dovrò, perché io viva... liberamente!

 

Un sorriso

Un sorriso da ricevere, un sorriso da donare,
Nobile come l’amore, del cuore, ossigeno vitale.
Se triste è l’animo e di grigio si veste ogni cosa :
Offri un sorriso e il mondo intero si tingerà di rosa.
Rendendosi inviso un amico ti ha ferito :
Riaggancia con un sorriso e tutto sarà perdonato.
Irraggiungibile… chissà perché è partita la felicità :
Seguila per le vie del cuore un sorriso ti condurrà.
Or… se con un sorriso puoi accendere una fiammella
     altri sorrisi splenderanno come in cielo una stella !

 

Primo Conoscenti

(Dalla rivista L'ALFIERE del Marzo 2021)

Primo Conoscenti, poeta e scrittore genovese, è un uomo di grande esperienza di vita, in quanto grazie alla. sua professione ha navigato a lungo su navi da crociera, visitando anche paesi lontanissimi e poco conosciuti e facendo più volte il giro del mondo. Fin dalla sua costituzione è socio della Sezione Ligure dell’Accademia Alfieri e partecipa agli appuntamenti dei “laboratori di lettura poetica” della Stanza della Poesia di Genova e alle principali attività dell’Associazione in Toscana e in altre regioni. Nel 2012 ha pubblicato la raccolta di poesie “La rotta del delfino – Poesie (2007-2012) e nel 2017 “Le parole di tutta la vita” – Poesie e prose – (2005-2016). Ha ricevuto numerosissimi prestigiosi premi e attestati di riconoscimento e nel 2013 gli è stata conferita dal Presidente della Repubblica l’onorificenza di “Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana”.


Liguria

Terra di naviganti e di poeti
gente che non conosce adulazioni,
“fasce” con orti, vigne ed uliveti,
fragranza di basilico e limoni,

Dai monti a precipizio sopra il mare,
scende il Maestrale ed aspro ti carezza
che ti dà un clima mite e salutare
ben noto al mondo intero che l’apprezza.

Liguria, arco di terra da me amata
con il candore limpido del giglio,
profondamente in cuore radicata,
nel sacro vincolo di chi ti è figlio.

Mentre respiro a fondo il tuo profumo
tra le tue braccia vivo e mi consumo.

 

Camogli

Camogli bella, stesa sopra i monti
tra argentee danze di ulivi spioventi
alla marina, guardo i tuoi tramonti
e le onde del mare spinte dai venti.

Abbarbicate  su pendii a scalare
le allegre case vive di colori
sono protese, come me, al mare
e del Maestrale soffrono gli umori.

Antica storia marinara aleggia
nella trama di vicoli e di scale
e su dal porto, a sera,vi serpeggia
l’effluvio di salsedine e di cale.

Sul Golfo Paradiso intanto scende
luce lunare, con le sue leggende…

 

Fiori e colori

Nel mio quartiere ci sono giardini
pieni di varie piante rifiorite;
viole, lillà, ginestre, margherite,
papaveri, mimose, ciclamini.

Osservo, dall’amata casa mia,
verdi prati, dipinti di colori,
che la natura adorna con i fiori,
come policroma fotografia.

Lo sguardo si distende sulle aiuole,
perduto in quel tranquillo panorama,
mentre, fragrante, sale e si dirama
il profumo di gigli, rose e viole.

E come in primavera sboccian fiori,
così, nei cuori, sbocciamo gli amori.

 

La spiaggia di Camogli

Sopra i sassi seduto sulla spiaggia
vedo tremula l’onda che massaggia
con costanza gli aguzzi eterni scogli
nel favoloso Lido di Camogli.

Ascolto nel silenzio della sera
il mormorio monotono del mare,
flusso e riflusso…un canto senza fine
dell’onda che accarezza l’arenile.

La selvaggia magia della natura
mi risveglia una voglia d’avventura
di ritornare a fare il navigante
tra nuove rotte, sempre più distante.

Intanto lento il sole si nasconde
ad Ovest, dietro le Liguri sponde.

 

Genova mia

Genova mia, dimora marinara,
dalle alture con gli imponenti forti
scivoli nell’abbraccio aperto ai porti,
alle riviere, all’ionda inquieta e amara.

Dallo scosceso verde di quei monti,
arco d’incontro tra collina e mare,
sulla distesa azzurra può spaziare
lo sguardo e abbeverarsi ai tuoi tramonti.

Nascosti monumenti, piazze e chiese
grondano di ricchezza antica e storia.
Dagli austeri palazzi emani gloria
Nei vicoli, nelle ombre lì sospese.

Come scheggia che squarcia l’orizzonte,
solitaria e severe la Lanterna
nella notte con bianca luce eterna
la giusta rotta addita al navigante.

 

La rosa di Nervi

Il Roseto di Nervi mi ha chiamato
tra lacrime piangendo sconsolato:
“Qui non ritrovo più la bella Rosa
che ancora sto cercando senza posa”.

Di corsa l’ho raggiunto dentro il Parco
lo vidi accovacciato a forma d’arco
e in quella posizione  innaturale
m’accorsi che realmente stava male.

Allora con amore l’ho calmato
e dal triste dolore consolato.
Gli dissi: “ su non fare il moribondo
che non è questa la fine del mondo.

Se la tua Rosa ancor non l’hai trovata
può darsi che non sia stata rubata
sicuramente (e qui tirai un sospiro)
sarà andata in giardino a farsi un giro.”

Nel parlare così però mentivo
perché dov’ era  Rosa lo sapevo:
distesa sul divano a casa mia
teneramente a farmi compagnia.

 

Lungo l'arco di costa irto di scogli

Lungo l’arco di costa irta di scogli
un gruppo di delfini sta nuotando,
nell’acque che fronteggiano Camogli
allegramente spume sollevando.

Nell’attimo in cui emerge sopra il mare
ci mostra il bel musetto sorridente
e mentre l’aria è intento a respirare
con il sinuoso corpo l’onda fende.

Ti ammiro per la tua bellezza rara,
mio agile e provetto nuotatore,
la tua presenza sempre mi fu cara,
tra gli esseri marini sei il migliore.

Poiché vissi tra i flutti il mio destino
mi sento molto simile al delfino.

 

Mario Macioce

(Dalla rivista L'ALFIERE del Gennaio 2019)

Mario  Macioce,  nato a Firenze, ha fatto studi classici ed è laureato in Ingegneria elettronica. E' appassionato cultore della poesia fatta di metrica e musicalità. Ha pubblicato la raccolta di poesie "Canzoni di parole”. Attualmente presiede l'Accademia Alfieri di Firenze, dirige la rivista “L’Alfiere”, organo dell’Associazione, e il supplemento “Il Dolce Stile Eterno”; cura anche la preparazione del Calendario annuale dei Poeti. Recentemente ha pubblicato “Poemetti erotici medioevali” e “Manualetto di metrica italiana”. Da molti anni tiene, in varie sedi, conversazioni su argomenti letterari o storici. Nel 2018 è uscito il suo libro “Sovra il bel fiume d’Arno alla gran villa”, storia di Firenze dalle origini all’unità d’Italia.

 

Sera  d’estate

Sera d' estate fra gli olivi scuri
e brandelli di muri  sgretolati,
sparsi sulla collina;

boschi stregati d' ombre tormentose
e cespugli di rose  già sfiorite
sul confine dell' orto.

Dove sono finite le ginestre
e i fiori alle finestre  spalancate
su valli silenziose?

Dov' é l' estate che bruciava il cuore
col suo calore  fatto di certezza
d' un destino prezioso?

E la bellezza antica, universale
d' un mondo primordiale  di colori
e sentimenti veri?
desso, fuori, brucia una stagione
senza emozione,  né fragranze ardite,
né tripudio di odori.

E sono anche sfiorite quelle attese
di bellezze sottese  alla mia vita
proiettata al domani.


Rivolta

Mi son rotto le palle
di scrivere poesie:
son tutte fantasie
senza nerbo alle spalle.

Sono parole vuote
rivestite di niente,
ricami della mente
su tematiche idiote.

Sono bucce di pesche
private della polpa,
non voglio aver la colpa
d' immagini grottesche.

Versi, rime baciate,
settenari, quartine,
tutto questo avrà fine,
basta co' 'ste menate.

Giambi, epodi, sonetti,
che rompimento osceno;
adesso in un baleno
faccio tutto a pezzetti.

Se mi punge vaghezza,
voglio scrivere in prosa,
parlare d' ogni cosa
in libertà e scioltezza.

Riempirò il mio diario
di citazioni alate,
parole ricercate,
ma ... sul vocabolario.

Farò un bel florilegio
di vocaboli astrusi;
gli uditori confusi
lo crederanno un pregio.

Libero dall' impegno
di rispettare i toni
che rompono i coglioni
e non lasciano il segno,

io mi cimenterò
in pindarici voli
e canti di usignoli
con foga evocherò.

Sceglierò gli aggettivi
più strampalati e rari,
e stupirò del pari
gli uditori corrivi.

Accenti, versi, rima?
Niente di tutto ciò:
la riga troncherò
andando a capo prima.

Prenderò tutto il testo,
lo spezzerò ben bene,
ma così come viene,
senza curare il resto.

Rispettando una norma?
Ma neanche per sogno;
non c' è nessun bisogno
di salvare la forma.

Un giochetto innocente,
una furbata rara,
e gratis si ripara
ai vuoti della mente.

Righi ne farò molti,
senza andar fino in fondo,
dicendo chiaro e tondo
che sono versi sciolti.

Farò il brano a pezzetti,
e andrò spesso di sotto:
il periodo interrotto
sembrerà di Ungaretti.

Certo per questa via
tutti saranno illusi;
per non sembrare ottusi
diranno ch' è poesia.

E fra tutta la gente
nessuno avrà il coraggio
di sembrar poco saggio
col dir che non c' è niente.

Come nella novella
della veste fasulla,
fatta, in realtà, di nulla,
tutti diranno: " Bella! "

Per un tempo infinito
l' inganno durerà,
se un bimbo non dirà
che il re non è vestito.


Il  cortile

  C'è una finestra sopra quel cortile,
circondato di muri e panni stesi;
è da quel luogo che i miei sogni offesi
cercavano un approdo più gentile.

  Vedevo spazi aperti, sconfinati,
oceani spalancati alle avventure;
solo così vincevo le paure
di una vita di slanci soffocati.

  D'inverno il sole non veniva mai;
d'estate solo all'alba ed al tramonto:
i suoi raggi portavano il racconto
di luoghi belli, ma lontani assai.

  Paesi tropicali mai veduti
e che nessuno potrà mai vedere;
isole di avventure e di piacere
e di profumi intensi e sconosciuti.

  Da quella corte buia ed avvilita,
dove avevo imparato ad esser solo,
un giorno infine avrei spiccato il volo
per conquistare il mondo e la mia vita.

  Un giorno son partito veramente
e ho fatto le mie scelte ad una ad una;
delle isole sognate mai nessuna
ho ritrovato fuori della mente.

  Così talvolta ancora sto affacciato
all'angusto cortile della vita;
sogno di rigiocare la partita
e guardo il sole, ch'è dall'altro lato.


Viene la notte . . .

Viene la notte e ha dita di cristallo
fragili e fredde come le tue mani;
viene la notte e adesso è già domani;
poi sarà l’alba, e porrà fine al ballo.

Viene la notte ed al cantar del gallo
I tuoi pensieri saran già lontani,
e sta perdendo ormai tutti i suoi grani
questo fragile filo di corallo.

Ti scioglierai dalle mie braccia, amore,
e mi sorriderai nell’andar via,
condurrai chissà dove le tue ore,

senza rimorsi e senza nostalgia.
Viene la notte e porta il suo colore
cupo e venato di malinconia.


Il  concerto

Mentre quel musicista si esibiva,
io guardavo la faccia della gente:
la musica nell’aria li rapiva,
qualcuno aveva il volto sorridente;

C’era poi chi guardava trasognato
un’immagine arcana ed invisibile
e chi, lo sguardo in alto ed ispirato,
seguiva un sogno bello e irraggiungibile;

un altro ad occhi chiusi se ne stava
per potersi ancor meglio concentrare
mentre quell’armonia lo trasportava . . .
peccato poi che lo sentii russare.

 

Gabriella Semino

Gabriella Semino, psicologa con una specializzazione in medicina naturale e per anni insegnante nelle scuole superiori, è nata e vive a Firenze con le due figlie, dopo aver passato per lavoro lunghi periodi anche in altre città d’Italia. È da sempre appassionata di musica e poesia, che rappresentano per lei l’angolo speciale cui attingere forza e serenità, anche nei momenti più difficili. Canta e fa parte di due cori fiorentini che si esibiscono regolarmente in pubblico. Per quanto riguarda la poesia, ha scritto versi fin dall’adolescenza, ma solo da pochi anni si è iscritta all’Accademia Alfieri, riscoprendo la bellezza della poesia classica e del ”Dolce Stile Eterno” perseguito dai suoi poeti.

(Dalla rivista L'ALFIERE del Gennaio-Giugno 2017)

Le voci della neve

Era un biancore delle età primeve
che faceva violenza a quella notte
sulla montagna e che l’antica pieve,
con le sue pietre consumate e rotte
che oggi il muschio ricopre e quasi inghiotte,
aveva risvegliato bruscamente
con quella chiara e arcana mezzanotte.
Fra quei silenzi l’acqua era presente
con misteriose voci di torrente
che sentivamo, pieni di emozione,
scaturire dal buio rilucente
creando una magnifica illusione.
In quella pace senza dimensione
era scomparso ogni segnale esterno
e in un attimo quasi in sospensione
ci folgorava il senso dell’eterno,
che ci faceva con un moto alterno
tremare il cuore e fremere la pelle
nell’aria tersa e pura dell’inverno.
Stalattiti di ghiaccio, sentinelle,
tacite testimoni delle stelle,
intanto riflettevano il richiamo
imperioso ma tenero di quelle
cime che in cielo ordivano un ricamo
mentre attoniti e muti capivamo…
solo noi due, per un istante breve,
come secoli prima ascoltavamo
le inudibili voci della neve.


Danza

Lei ti guarda insinuante
un fremito di ciglia, un ammiccare,
morbide occhiate senza alcun ritegno…
Poi diventa arrogante
si avvicina e ti chiede di ballare,
vuole te e non si cura del mio sdegno.
Ha un perverso disegno
lei non ama l’amore
segue solo il suo sfizio,
cerca fin dall’inizio
di separare e infliggere dolore,
distruggere un legame
per soddisfare tutte le sue brame.
Ora state ballando,
mentre ti stringe, note di velluto
si avvolgono a spirale in ritmo lento,
che a un tratto accelerando
mi ripete che ormai ti ho già perduto.
Io mi ribello e sento con sgomento
che è bastato un momento
per cambiarci la vita…
A che è valso l’amore,
la passione del cuore,
se lei può sbriciolarlo fra le dita?
Poi mi arrendo abbattuta
perché di colpo l’ho riconosciuta.
Ha gli occhi vuoti, labbra fredde e smorte
e forse ancora tu non hai capito
che stai danzando, amore, con la morte.


Incongrua primavera

Questa straziante, dolce primavera
con il suo verde tenero e spietato,
con la beffarda brezza sua leggera
già si risveglia, mentre tu mi hai dato
l’ultimo addio sul fare della sera.
Inesorabilmente mi hai lasciato
il lungo inizio di una notte nera
che una distratta natura ha ignorato.
Sono fiorite come un giallo sole
quelle forsizie che tu amavi tanto,
anche la nostra rondine è tornata:
con le compagne intreccia capriole
nel cielo azzurro, ignara del mio pianto
che si perde nell’aria profumata.
Amara stilettata:
la primavera esplode con furore,
l’inverno regna solo nel mio cuore.


Ottobre

I cieli tersi e limpidi di ottobre
d’estate mi riportano un frammento,
stregata la memoria lo riscopre
e il cuore lo ricorda con sgomento.
Lo avevo già lasciato alle mie spalle
abbandonato ad arte nel passato,
ora riemerge rievocato dalle
giornate di un ottobre soleggiato.
Ma dentro me una voce silenziosa
chiama delusa con vana speranza
la stagione perduta che si sfoglia
e mi ripete dolente e pietosa
tra un vento di ricordi in dolce danza
“Solo il nome ne resta come spoglia.”


Il girasole

Nella calura fiero sullo stelo
eccolo il girasole,
dilaga in verdi campi sterminati,
gialle corolle aperte verso il cielo
si offrono sempre al sole
ruotando per cercare i raggi ambrati,
come amanti ed amati
quasi in una simbiosi
si cercano con gli occhi
con amorosi tocchi
d’amore uniti in dolce apoteosi
e quando l’uno manca
l’altro reclina la sua testa stanca.
Sorge insieme al Leone il girasole
assetato di luce,
ci riporta l’estate rigogliosa
quell’ansito di vita che ci vuole,
che ancora ci seduce
e che ci r ende l’a nima sm aniosa
d a n z a n t e e t u m ultuosa
come stella fiorita
in un caos interiore,
baratro e batticuore,
in quella corsa rapida e infinita
per sentirsi più vivi
come negli abbaglianti giorni estivi.
Sei simbolo d’amanti e dell’estate,
splendido girasole,
di giorni caldi e vite appassionate.


Come eravamo

Ricordi a tradimento
che inondano inattesi mente e cuore,
come un mare che s’alzi inaspettato;
un sottile tormento
che intreccia insieme nostalgia e stupore
per il tempo che in fretta è già passato…
E un glicine seccato
tra pagine ingiallite
mi parla di un aprile,
di aria primaverile,
del nostro andare con le mani unite,
mentre si componeva
l’incanto di un amore che nasceva.
Immagini struggenti,
ricordi insieme teneri e un po’ pazzi
di giorni che d’amore son riempiti.
Ora soffiano i venti…
E dove son finiti quei ragazzi
adesso c he la vit a li ha fe riti?
S o n f a n t a s m i sbiaditi
che non sanno tornare,
sono un’eco tra i rami
sorda a tutti i richiami
e quando incerti provano a scrutare
nel nebbioso futuro
il glicine è imprendibile oltre il muro.
Ma c’è una luce in fondo agli occhi tuoi,
quando la guardo e stringo le tue mani
quei due ragazzi siamo ancora noi
verso un altro domani.

 

Enzo Gaia

Sono nato il 20 marzo 1957 alla Spezia, dove risiedo e lavoro. Nel 1979 ha inizio la mia partecipazione ad alcuni Concorsi letterari dove ho ottenuto lusinghieri riconoscimenti, tra i quali il Primo Premio nei Concorsi ” “Val di Magra”, La Spezia; “Joutes Alpines”, Annecy; ”Marcello Landi”, Livorno. Nel 1993, invitato dalla Casa Editrice “Ibiskos” di Empoli, pubblico “Come Arlecchino”, la mia “opera prima”, presentata dall’Editore al “Salone del Libro” di Torino. Nel 1999, a seguito del conseguimento del Premio “Il Portone” di Pisa, il Centro Culturale organizzatore del Concorso pubblica, nella propria collana di poesie, la mia silloge “A metà strada”. Le mie liriche sono anche presenti in prestigiose Antologie, tra le quali: “I Grandi Classici della Poesia Italiana” (Penna d’Autore Edizioni, Torino); “LericiPea” (nel quale nell’anno 2011 sono stato tra i poeti finalisti); Città di Savona”; “Città della Spezia”; “Premio Firenze”; “Montagne d’Argento” (Keltia Editrice, Aosta); “Il suono del silenzio” (TA.TI. Edizioni, Como)., “Istanti d’Infinito”, (Associazione Leopardian Community, Porto Recanati). Inoltre, sono stato iscritto nell’Associazione della poetessa e pittrice Novella Torregiani “Leopardian Community – Più voci nel coro”, con la quale ho preso parte a svariati eventi culturali, tra i quali, nel 2011 e 2012, la “Giornata mondiale della poesia”, svoltasi nel Centro Studi Leopardiano di Recanati, nonché sono socio dell’Accademia “Alfieri” di Firenze che mi vede protagonista, con la lettura delle mie poesie e dei miei racconti, alle Sue iniziative, tra le quali il Convegno annuale di Rimini “Poesie nella Riviera Adriatica”. Infine, nel corso del 2015, ho organizzato io stesso eventi di poesia al Bar degli Aperitivi della Spezia e tra queste il “gemellaggio” nel Golfo dei Poeti tra gli scrittori e le scrittrici spezzine e i poeti e poetesse dell’Accademia “Alfieri”.

(Dalla rivista L'ALFIERE dell' Ottobre 2015)

A metà strada

Tra le sottili nebbie
dell’autunno,
lungo la strada
dedicata all’amore,
dialogo
- di nascosto -
con la solitudine.
Da tempo, ho smarrito
la rotta
nel mondo razionale
delle idee
e
come un aquilone
ferito
mi sono posato
sopra le scogliere
inviolate
del dolore.
Ma il futuro,
che improvviso
s’è insinuato nel cuore,
è un vivace
acquerello
sopra l’orizzonte,
a metà strada
tra il sogno
e la realtà.

(Alle Cinque Terre, una sera d’autunno)


Filastrocca dei migranti

Se ne stanno sugli scogli
in silenzio, buoni buoni,
con le mogli e con i figli
abbracciati agli ombrelloni.
Quando piangono i bambini
perchè han fame oppure sete
noi gli diamo te e panini
e il conforto anche di un prete.
E’ l’Italia solidale
che conosce la bontà,
in Europa questo vale
però il visto non gli dà!
Spesso il bene è virtuale
in un mondo capovolto
e il migrante che sta male
ce ne mostra il vero volto.

(A Ventimiglia, giugno 2015)


Filastrocca dietro la collina

“...e quasi sempre dietro la collina
é il sole...”
Lucio Battisti, “La collina dei ciliegi”

“Nel millennio che sta per cominciare
- hanno esclamato i Grandi della Terra
- non ci sarà più il tempo per odiare
e in pochi mesi finirà la guerra.
Tutte le bombe saranno intelligenti,
scoppieranno in silenzio, senza danno
per festeggiar di bimbi sorridenti
il loro più felice compleanno.
Né serviranno ”missioni arcobaleno”
per aiutare i popoli affamati
perché nel mondo sempre più sereno
tre pasti al giorno saranno assicurati.
Dotti scienziati e insigni luminari
dicono invece con voce altitonante
che ci attendono tempi molto amari
di fughe radioattive e guerre sante.
Hanno prove sicure e veritiere
delle proprie funeste affermazioni
ed ai giornali han già fatto sapere
che a nulla servirà essere buoni.
Ma scrive un cantastorie in una rima
(e c’è del vero nelle sue parole)
che quasi sempre dietro la collina
ogni mattina si risveglia il sole.
E’ il suo libero canto tra i ciliegi
il mio saluto al secolo duemila
che avrà molti difetti e pochi pregi
ma sempre la speranza in prima fila.


Filastrocca sul lungomare

“Vola solo chi osa farlo”, Luis Sepulveda

Se respiri a pieni polmoni
questo vento venuto dal mare
tu vivrai nella terra dei buoni
e vorrai provare a volare.
Oggi invece il mondo è globale
e nessuno ha una propria opinione:
stanno insieme il bene ed il male
e si fa una gran confusione.
Prova allora a guardare il tramonto
come fa sullo scoglio un bambino:
delle onde ascolta il racconto
e migliore sarà il tuo destino.
Tu del mare hai scoperto i segreti
e le rime che hai scritto nel vento
renderanno i tuoi giorni più lieti
cancellando dal cuore il tormento.
Ma se nel mondo regna la follia
o le tue rime ti sembrano banali
tu gioca a dadi con la fantasia
spiegando bene in alto le tue ali.
alla Spezia, d’estate,
lungo la “Passeggiata Morin”


Il sapore della vita

Avvicina una conchiglia all’orecchio:
ascolterai il rumore del mare
e un forte odore di salsedine
colpirà il tuo olfatto.
E’ il sapore della vita
chiuso in quella conchiglia
che tu puoi spezzare,
sminuzzare tra le dita, se vuoi,
o affidare di nuovo alle onde.
Cogli dalla terra umida di neve
una zolla di muschio:
avrai le mani pregne di natura
e i tuoi occhi vedranno
le lacrime dell’erba.
E’ il sapore della vita
che hai colto,
strappandolo al bosco.
Prendi tra le dita una farfalla:
vedrai che le sue ali impazzite
vogliono subito riprendere
il loro volo tra i fiori.
E tu puoi ucciderla,
strapparle le ali, se vuoi,
o donarla ad un soffio di vento.
E’ il sapore della vita
che hai catturato,
togliendolo alla libertà.
Ma d’improvviso ti accorgi
che a quel tesoro incalcolabile
neppure tu potrai rinunciare.

Enzo Gaia

(poesia edita nella silloge
“Come Arlecchino”, Ibiskos Editrice)

 

Adriano Chierchini

Adriano Chierchini, nato a Genova il 16/08/1939, suona la chitarra fin da bambino. Divenuto poi allievo del Maestro Carlo Palladino, ha studiato con lui per circa cinque anni, coltivandone in seguito una reciproca sincera amicizia.
Ha conosciuto i più significativi personaggi del mondo della chitarra genovese, dai quali ha tratto ispirazione e imitato lo stile, secondo la cultura chitarristica genovese dell'epoca.
Fra questi spicca Arnaldo Bucco, col quale ha suonato per un periodo di circa quattro anni per puro divertimento nei vari locali che si frequentavano in quel periodo. Di esso si ritiene allievo spirituale e prosecutore avendone tramandato lo stile e diversi brani del suo repertorio, fra i quali la sua composizione “Campane a Festa”, che anche lui apprezzava nella sua interpretazione.
Altri chitarristi conosciuti, e ormai scomparsi, sono: Mario Schenone (da cui ebbe il suo preludio), Luigi Pittaluga, Federico Orsolino, Anselmo Bersano, Orlando Carrara, allievo di Pasquale Taraffo.
Vincitore negli anni 1960 e 1961 del 1° e 2° Festival Nazionale dei Chitarristi di Terni, e partecipante in seguito alla trasmissione radiofonica allora in voga “Una ribalta per i giovani”.
Suona per pura passione in un repertorio che spazia totalmente dalla letteratura originale per chitarra, a svariate musiche di tutte le epoche e di tutti i generi, provenienti da trascrizioni, o più frequentemente con i suoi arrangiamenti personali sullo strumento solista, inteso come chitarra classica, cosa molto in auge presso il pubblico popolare dell'epoca che apprezzava tanto questo modo così semplice di fare musica, dove tuttavia si richiedeva studio accurato e applicazione, comprendendo in questo magico ed intimo strumento contemporaneamente: motivo, accompagnamento e basso, quasi a imitare il pianoforte o il canto vocale, questo quando i mezzi più raffinati e tecnologicamente complessi non erano ancora a disposizione.
Come attività artistiche alternative gli piace comporre poesie a seconda di una certa ispirazione ed anche abbozzare nel disegno schizzi prevalentemente a matita che sottolineano le sue qualità di improvvisatore.

(Dalla rivista L'ALFIERE del Gennaio 2015)

Senza titolo

Una lettera diversa
per ogni lettera diversa che scrivi
ti manderò attraverso i rivi
del mio peregrinare senza sosta
fra i tuoi pensieri così belli e schivi
nell’armonia di tante parole
andremo nella luce verso il sole

Ma nella nostra realtà sognante
vivrem la favola del mio cuore errante
dove per lui l’approdo più sognato
sarà tutto l’amore che hai creato


Preludio alla mia chitarra

E’ bello saper navigare
attraverso la tastiera della chitarra,
nel filo conduttore
del mondo delle armonie,
racchiuse nel cuore profondo
dei suoi meandri,
accarezzando i neuroni dell'infinito


Chitarra mia
Chitarra amata

La chitarra risuona splendente
in tutte le corde della mia anima
Fata sonora di misteri inauditi
solitaria amica di percorsi infiniti

Mi accompagna discreta in mondi soavi
aprendo il mio cuore in un dialogo amato
Oh! chitarra pensiero incompiuto
del tuo profondo universo sognato!


Ping pong alla luna

O luna oh!
come sei tonda
risponde l’amica
terra rotonda
magica torni
tutte le notti
quando scompari
ti ricordiamo
ti ripensiamo
ti riflettiamo
luce di luna
sempre presente
rischiari il cuore
e anche la mente
per il levante
come a ponente
dove ti trovi
giochi sul mare
come son belle
le tue capriole
guardi le stelle
al chiar del sole
e per magia
ritorni via


Napoletana

Pulcinella si sveglia a Sorrento
e raccoglie il suo mandolino
lo riempie di stelle al mattino
si trasporta sulle ali di un canto

Apre il cuore del suo strumento
rovesciando le stelle nel mare
le sirene le stanno a guardare
mentre cadono come d'incanto

Pulcinella si sente contento
vede il monte proteso nel cielo
è un teatro soffuso di un velo
così Napoli sembra sognare


Echi

Un suono lontano
come eco silvano
si ode e si accresce
nel giorno che esce
da un calmo meriggio
che porta il retaggio
di soffusi ricordi
e pensieri concordi
a vivere e amare
nei mondi sommersi
di suoni diversi
protesi nel mare
del lume solare
e cheta si sfuma
sull'onda la spuma


Genova  notte

Notte di Genova, notte di gente
Sublime come le stelle d'oriente
Notte notturna, nata dal nulla
Sogna il bambino che è nella culla
Notte profonda e misteriosa
anche il marito sogna la sposa
Luce che rompi la fitta tenébra
Muori nell’alba col sole che spera
Passi furtivi e solitari
Siete per sempre nei vostri sacrari
Tonfo improvviso come uno schianto
Ma nel silenzio si ode poi un pianto
Genova notte sei spaventosa
Turbi la gioia di chi riposa
Compare l’anima di Paganini
Suona sui tetti mille violini
Mazzini trama nei secoli bui
Si copre di gloria, soccombe anche lui
Colombo salpa dal Porto Antico
Mille tempeste, mare nemico
Andrea Doria estrae la sua spada
Nasce la guerra in ogni contrada
Notte tremenda, notte stupenda
Dove ferisci ognuno si arrenda
Porti un segreto nel buio totale
L'alba è la vita, la notte è il male

 

Vittoria Zedda

Vittoria Zedda è nata a Cagliari dove ha abitato i suoi primi vent’anni; ha conseguito l’abilitazione magistrale, si è iscritta all’università ed ha iniziato a lavorare come insegnante delle elementari. In seguito al matrimonio per il lavoro del marito, ha vissuto in varie città italiane. Quel mare che ha sempre amato e in cui si immedesimava, finalmente le dava l’occasione di solcarlo per arrivare oltre il limite dell’orizzonte, per conoscere un “altrove” solo immaginato. La sua infanzia era stata allietata dalle musiche di Odoardo Spadaro che cantava di una città da amare, Firenze, che aveva il fiume Arno d’argento, le cui donne, belle come madonne, si affacciavano su balconi fioriti, una città a cui mandare baci se ci si allontanava. Dunque, Firenze era la città dell’amore, e così è stato. Quel suo sognare davanti al giradischi più alto di lei si è concretizzato nell’amore più grande che esista: l’amore per i suoi due figli, frutto di due nuovi amori nati in questa città in cui, dopo la separazione dal marito, aveva scelto di vivere e lavorare. Ha fatto parte del gruppo junghiano di Firenze con cui si è formata una preparazione psicologica a cui ha dato seguito lavorando come ludoterapeuta e psicologa. Con un suo teatro di burattini: il “Teatro instabile teste di legno” per cinque anni ha fatto vari spettacoli sia in città che in provincia. Ha conseguito una laurea in psicologia generale, ha frequentato, da esterna, l’istituto d’arte dove si è perfezionata nel lavoro con la creta partecipando poi a varie mostre. E’ stata insegnante di psicologia nei licei e si è abilitata come arte terapeuta. Da vario tempo frequenta un atelier di acquerello ed ha all’attivo varie mostre col gruppo denominato “Gli amici dell’acqua colorata”. E da ultimo, ma non ultimo, da più di dieci anni frequenta, l’accademia Vittorio Alfieri dove ha appreso e perfezionato le forme classiche della poesia abbeverandosi col “dolce stile eterno” che il suo presidente Dalmazio Masini ed i vari componenti dell’associazione portano avanti con dedizione e amore. Ha pubblicato il libro di poesie: “Una voce dal mare” ed è già in fase di pubblicazione un secondo libro.

(Dalla rivista L'ALFIERE del Maggio 2014)

Tramonto

Attendo un nuovo giorno.
Il filo del passato ingarbugliato
ho reciso al tramonto.
E vedo già il crepuscolo avanzare
spandendo, nella valle degli ulivi,
ondate di presagi.

Tacciono le cicale.
E tace il vento mentre il cuore batte
forti rintocchi a festa.
Si levano dintorno antichi canti
di grilli fra le stoppie. Tutto avvolge
la trapuntata notte.

Sembra che sia eterno
il transitare dell’oscurità.
Quando la luce appare
salpa la vela mia su quella rotta,
colma di struggimento e di malia,
e vado incontro all’alba.

Accendi di papaveri

Accendi di papaveri i miei giorni
per strade lastricate di chimere
nel viaggio inusitato
colmo di succo come melagrana.

Tra rovi e biancospini rifioriti
danzano insetti ebbri, nelle sere,
nel gioco raffinato
del dare e dell’avere che risana.

Ricolma col tuo fiato la lacuna
dal vomere lasciata, a compiacere
l’arcano, rinserrato
nei tempi ardimentosi di buriana.

Accendi di colori la mia mente
perché riprenda il volo lo sparviere
che, da tempo tarpato,
non osa più volare nella piana.

E nasca il desiderio di scoprire
oltre l’azzurro cielo il vero ardire.

Attesa

Le nuove infiorescenze hanno un profumo
che inebria e assorda il mio lento vagare.
Volteggia lo scirocco come un fumo
di sogni e suoni antichi da accordare.

Girandole parole nella mente
affollano i pensieri rinverditi,
bramose come le anatre al torrente,
anelano a ideali ancor più arditi.

E il fiume sotterraneo dell’amore
riemerge con insolita fierezza,
la stessa dei miei avi. Ed il mio cuore
trova la via del sole con certezza.

L’attesa mi ha donato un nuovo afflato
e il gusto del mio tempo ritrovato.

Poesia bambina

Poesia bambina, nata dall’arsura
dei tempi avversi, sfolgori di vita
all’improvviso e cambi l’avventura
della mia strada solitaria e ardita.

Quali percorsi hai fatto, quale altura
t’ha visto peregrina, quali dita
t’hanno precipitato dalle mura
rendendoti più impervia la salita?

Taci e sfavilli: sai che gioia e pianto
su questa terra avara e generosa
sono le fasi alterne del percorso.

Appena nata vivi nell’incanto
del fugace splendore della rosa.
Ti bevi il sole e canti ad ogni sorso.

La giostra dei sorrisi

E’ rifiorito il mandorlo piantato
quando tu eri in vita
nei giorni lieti di un tempo passato.
Ti cerco tra le rame
scrutando il bianco incanto dei suoi fiori
nella risorta aurora
che attenua il muto grido di richiamo.

Sono volati via i brevi giorni
della tua primavera:
era febbraio e il vento dolcemente
ti ha preso tra gli aromi.
Senza di te ho varcato le stagioni
spoglie dei tuoi ardori
private della giostra dei sorrisi

e dei baci scambiati
sotto i fiori abbagliati.

Pausa

S’acquieta la tramoggia degli eventi
che senza tregua macina passioni
e desideri ardenti. Scombinando
trama ed ordito di una tela forte.

S’acquieta e dolcemente s’alza un canto
un canto solitario di viandante,
che lascia e prende come più gli aggrada
stringendo dentro ai pugni l’imprevisto.

Racconta di marosi e maestrali
e dolci sabbie calde sotto ai piedi
e balzi oltre i confini dell’ignoto
e corse a riacchiappare un aquilone.

Lo sguardo indugia a riveder la vita
segnata con il marchio del silenzio
e frulli d’ali e aromi d’occidente
compagni d’un percorso inusitato.

Riscopro la mia meta rinserrata
entro i confini ampi della mente
tra aurore boreali e luoghi arcani
riluce il mio vessillo dell’amore.

 

Anna Cottini

Anna Cottini, fiorentina, si dedica alla poesia e alla prosa dal 1995, quando per gioco partecipò ad un concorso letterario indetto dall’ATAF (azienda trasporti urbani) di Firenze in collaborazione con l’Accademia letteraria Vittorio Alfieri “Poesie in bus” (occasione nella quale Anna ha conosciuto l’associazione e non l’ha più lasciata). La sua poesia, selezionata da Mario Luzi e Dalmazio Masini, fu una delle vincitrici e fu pubblicata su 100.000 biglietti degli autobus cittadini. Successivamente Anna si è aggiudicata numerosi primi premi letterari, sia per la narrativa che per la poesia, partecipando ad altri vari concorsi. Sue liriche sono presenti in molte antologie letterarie e ha pubblicato quattro raccolte di poesie: “Il vino, la giostra e la cometa”, “Lettere allo specchio”, “Qualcosa nell'aria” e “L'equilibrista di velluto”. Ha inoltre partecipato con lettura di sue liriche al Festival Internazionale della Poesia a Genova. Un’altra sua passione è il teatro dove è impegnata dal ‘96 entrando a far parte di varie compagnie amatoriali. Infine, sempre nel mondo dello Spettacolo, dal 2005 fa parte del coro “Armonia non solo cantata”. Il Gruppo diretto dalla Maestra Antonella Giovannini che collabora spesso alle iniziative dell’Accademia Alfieri.

(Dalla rivista L'ALFIERE del Gennaio 2014)


Ci sono posti

Ci sono posti magici
dove si accende il cuore:
mi sembra di trovare
la sciarpa che ho perduto,
le note di una giostra,
l’odore di un balocco.
Mi pare di sentire
il pollice che scivola
la buccia dei piselli
sgranando primavera.
S’inceppano i pensieri
ma snodano gugliate
del filo del passato.
Inerme mi sorprendo,
nell’ansia dei progetti,
di aver ancor bisogno
di stringere al mio petto
un orsacchiotto sporco
di lacrime e minestra.

Senza clamori

Volano bassi i passeri
sul campo appena arato:
la terra muta il mantello
scoprendo antiche rughe.
Nasce pigro il tramonto
mescolando le luci
e imbruniscono i segni.
È tempo di posare le scarpe
bagnate dal cammino,
si allunga l’ombra
non convinta della fuga.
È tempo di porre il segnalibro
nel capitolo concluso
e pensare all’uva
e al bicchiere pieno
che riempirà il domani.
Sciama lenta la platea
nella foce dell’applauso,
si scioglie la zolletta
nel fondo della tazza.
Si bagna di saliva
la bocca arsa dal tempo,
si asciuga l’ultima lacrima
nella virgola delle ciglia.
Senza clamori, dilaga la notte.

Shanghai

Bastoncini sul tavolo,
sparsi, confusi colori
e schizzi di Kandinsky.
Quello rosso vale cento.
Solo uno da sfiorare,
gli altri, da non toccare:
fragili sono gli amori
tesori dei ricordi;
non spostarli dalla mente.
Quello rosso vale cento.
Appuntiti i bastoncini,
aghi ribelli del cuore;
uno, poi uno da levare
con cura e perfezione.
Dolori sopiti e leggeri
riposano tra i colori.
Quello rosso vale cento.
Scivolano silenziosi:
le mani come ombre
non svegliano, carezzano.
La vita scioglie l’acquerello:
sole in schegge tra le gocce.
Si mischia l’arcobaleno
tra comete e scogli scuri.
Attendono i bastoncini...
Ora il giallo, poi il nero.
Solo uno vale cento!
Dolore, ricordo o amore?
Non muovere, fa’ attenzione!
Veloce la giostra gira
e il rosso già scompare.
Vivace allegoria
che inebria e confonde.
Il verde muove il viola
e hai perso la partita.
Ma il vuoto è silenzio
e muto non risponde.
Stracci sporchi da buttare
e pennelli da pulire.
Di nuovo bianca è la tela
e il pittore inventa ancora:
linee unite che poi fuggono.
E vale sempre cento...
il solito colore.

Al di là del muro

L’edera saccheggia
il muro di confine;
lucertole nascondono
il bottino fingendo una danza,
onde flessuose ubbidienti al sole.
Bruciano le pietre
nel delirio dell’arsura;
occhi bruni spiano
segreti avvolti in candidi pizzi,
movimenti di capelli e fianchi.
Al di là del muro
forse volano farfalle
sulle rose selvatiche.
I fichi gridano l’estate
aprendo la passione:
alito dolciastro,
vecchi crocifissi alle pareti,
vesti nere a nascondere
ferite e divieti.
Fugge la serpe,
zingara impaziente
nel canto ipnotico
di cicale predatrici.
Si riposa ebbra una giara
custodendo storie di sudore.
Si ricama la sera
di gusto salmastro,
s’acquietano i grilli
nell’intrigo della notte;
lucciole e stelle si confidano:
è il loro turno.
Il silenzio si fa brivido.
Solo al di là del muro
si baciano gli amanti.

 

 

Massimo Pinzuti

Massimo Pinzuti è nato ad Abbadia San Salvator (SI) e vive nei dintorni di Firenze. Ama scrivere le proprie poesie utilizzando indifferentemente forme metriche classiche o sperimentali e versi liberi dando particolarmente risalto alla musicalità della parola. Sta sperimentando forme poetiche rinnovate, come ad esempio il tecnopaegnion, e lo “specchio lirico”, altra sua forma poetica sperimentale. Oltre che apprezzato poeta, è anche un noto cantautore. Le sue canzoni sono state definite dalla critica “poemi musicali”, in quanto pur mantenendo la freschezza delle molteplici forme musicali usate, cura molto anche il contenuto dei testi. Partecipa attivamente a numerosi spettacoli ed e stato colonna sonora di manifestazioni ed eventi letterari dell’Accademia Alfieri in Toscana, Liguria e Romagna. Ha pubblicato nel 2004 la raccolta poetica ‘Frammenti’ (edizioni Nencini). ed è presente nelle pagine di molte riviste e antologie letterarie. È ideatore e organizzatore del Concorso “Un Monte di Poesia” che da 8 anni si tiene ad Abbadia San Salvatore nel mese di Ottobre.

(Dalla rivista L'ALFIERE dell' Ottobre 2013)

A tre centimetri dagli occhi

Apri le calde labbra, notte afosa,
spire d’incenso ruotano leggere,
dentro ai tuoi occhi e dentro ai miei pensieri.
E mentre il tempo sfoglia le mie sere
e le mette a dormire
tra un seno caldo e il nettare di un fiore
che si schiude nel cavo della mano,
muovi i tuoi fianchi come un filo d’erba
abbracciato ad un alito di vento,
e poi ti sciogli come neve al sole.
Fammi sentire, nelle tue carezze,
brividi a fior di pelle,
brucia i miei sensi, falli consumare
come candele al vento,
finché il mio corpo, diventato cenere,
venga disperso dentro al tuo respiro,
nel susseguirsi eterno del donare,
spinto dalla passione,
brezze e folate dentro ad un ciclone.

Calice amaro
(L’amaro calice della solitudine)

È ancora notte e il buio della stanza,
ucciso dalla luce, si frantuma
e si nasconde in angoli remoti.
Tra spazi vuoti e polvere una piuma
segue le note di una muta danza,
con l’eleganza e la rassegnazione
di un falco chiuso dentro una voliera.
Ad ogni alba muoio (e poi risorgo
appena scorgo le ombre della sera)
e brindo triste all’ultima emozione,
alla visione tremula e distorta
che vedo dentro al fondo di un bicchiere.
Ti amo, solitudine perversa:
in me riversa tutte le barriere
ed incatenami in quest’aria morta.
Nella mia porta, cupe ragnatele
contornano la sola via d’uscita.
Calice amaro e amara solitudine,
inquietudine, essenza indefinita,
tu sola sarai il vento alle mie vele:
berremo il miele e il nettare di un fiore
finché cadrai anche tu preda dei venti
ed il remoto viaggio oltre il confine,
che porrà fine a tutti i miei tormenti,
sigillerà per sempre il nostro amore.

L’estate
(il fuoco dentro)

Canto l’amore, canto la passione,
canto per te, incanto di una estate:
la mia voce sarà dolce richiamo
per te che amo e mille serenate
ti inventeranno dentro una canzone,
finché emozione e musica faranno
fondere il cuore e i sensi in un istante.
Sarà un tappeto d’erba il pavimento,
ed il frumento il muro circostante:
i timidi papaveri saranno
un dolce inganno rosso evanescente,
che ondeggia sopra fili di speranza,
ebbro di vento come gli aquiloni.
Calde emozioni in fragile sembianza
sullo specchio increspato di un torrente
che docilmente sfocia verso il mare,
riportano il tuo viso alla mia mente
nel dolce bacio che ha infuocato il vento,
che in un momento ha cancellato il niente,
nel chiaroscuro gioco di lampare.
Senza parlare sfioro con le dita
le calde insenature del respiro,
fino a condurle all’ansa del mio cuore:
senza timore dico, in un sospiro,
che insieme a te più senso ha la mia vita.

Eterno abbraccio

Vedo i miei spettri all’ombra della luna,
avvolti nelle spire della notte:
raffiche di sventura e di fortuna,
dispersi nell’oblio che tutto inghiotte.
Ti ho visto nuda cogliere le stelle,
strapparle ad una ad una dal mio cielo,
spalmare con la luna la tua pelle,
coperta solo da uno scuro velo.
Mordi il mio cuore e poi lo getti via,
lo uccidi con la forza dello sguardo:
non ti appartengo e non sarai mai mia
anche se sarai l’ultimo traguardo.
Sorprendimi nel sonno della notte,
ti abbraccerÚ e non avrÚ rancore,
ma lascia l’illusione che stanotte,
se muore un uomo, un uomo grande muore.

Falco in amore

Il sogno, poi l’alba e un morire di stelle,
il fiore è bagnato di calda rugiada:
l’amore, la vita, nei passi la strada,
l’incerto domani fin troppo vissuto
nel lieve saluto che sfiora la pelle,
eterea carezza di un cielo velato.
La luce, lontana, è dispersa nel vento,
né un cane per strada né un solo lamento:
un sorso di aria e riprendo il cammino.
Sarà il mio destino: l’amore ti ha dato
passione e tormento, non hai più la forza
di amarmi e di amare la dolce carezza
che sfiora il tuo corpo. Respiro la brezza
dell’alba che sfuma il mio sogno d’amore....
ma l’uomo che muore riprende la corsa
e un falco si staglia sul cielo stellato:
soltanto la notte saprà quanto ho amato.

Folle corsa

Avvolte in spiagge oniriche,
statue di sale fissano la luna,
il vento spazza via le loro vesti
e il mare le lambisce e le consuma.
L’ultima impronta
svanisce dentro sabbia tremolante
che il tempo asciuga e, in polvere, disperde.
Armati di poesia,
muoviamo i primi passi, ancora incerti,
lungo il sentiero, impervio, della vita.
Per non morire nell’indifferenza,
in folle corsa,
issiamo in cielo il nostro arcobaleno,
e poi scappiamo, dietro l’orizzonte.
Siamo teppisti in corsa,
pronti a inseguire grappoli di niente,
intimoriti dalle nostre ombre
che nella luce,
flebile, incerta e stanca dei lampioni,
diventano giganti senza pelle:
siamo teppisti in una folle corsa.
Però, la nostra meta son le stelle.

 

Roberta Degl'Innocenti

Roberta Degl' Innocenti vive e opera a Firenze. Poetessa e scrittrice, ha pubblicato quattro libri di racconti: "Il venditore di palloncini e altre storie" (1995/97), "L' azalea" (1998), "Donne in fuga" (2003), "La luna e gli spazzacamini" (2007) e cinque raccolte di poesia: "Il percorso" (1997), "Colore di donna" (2000), "Un vestito di niente" (2005), "D'aria e d'acqua le parole" (2009), "I graffi della luna" (2012). Ha vinto importanti e prestigiosi primi premi, sia per l'edito che per l'inedito ed è presente in numerose antologie. Ha presentato poeti, scrittori, critici e pittori. Molte le testimonianze espresse su di lei. Dal libro La luna e gli spazzacammini sono stati allestiti alcuni spettacoli teatrali per le scuole, dei quali ha curato anche la regia. La sua opera è stata presentata al Palazzo Ducale di Genova nella Stanza della poesia ed al Festival Internazionale della Poesia. Nel corso del 2012 la sua opera omnia (poesia e narrativa) è stata presentata in Palazzo Vecchio. Il libro "Igraffi della luna" ha già vinto due primi premi per libro edito. E' presentetrice presso il Caffè Storico Letterario Giubbe Rosse. E' presente nell' Atlante Letterario Italiano (www.literary.it), è socia dell' Accademia Vittorio Alfieri dal 1992.

(Dalla rivista L'ALFIERE del gennaio 2013)


Un vestito di niente

Un abito colore della pioggia, per favore.
L'indosserò con meraviglia celeste,
tuffo di lago, polla trasparente.
Squadre d'elfi guerrieri in fila,
a pettinarmi gli occhi di sorgente, chiari.
Un vestito di niente, lo so bene,
da stropicciare addosso, seguendone
le pieghe con la mano.
Un desiderio strano, irriverente.
Nuda di pioggia, naufraga del pensiero.
Prendetevi il mio cuore assassinato,
venduto in carta gialla da due lire
al mercato dell'acqua, insieme ai fiori,
una bottega sudicia, lampada a olio.
Ridatemi la pioggia a ridere i capelli.
Un vestito di niente, lo so bene.

Estensione di giallo
(a Vincent Van Gogh)

E’ un grande dono la pazzia,
quella che ti fa stringere e volare,
stringere i denti, digrignare i pugni,
volteggiando un pensiero vagabondo
che ruzzola nel fango, fra i detriti,
giù in fondo, camaleonte ispido
in forma di rosa.
E’ un grande dono la pazzia. Quella
che dirige la penna e poi commuove:
risa di scherno, maschera bugiarda.
Arlecchina di note. Estensione di giallo.
Scrivevo sopra i muri delle case
- in sogno, certo – con pennarelli
grossi come un dito: scrivevo il grido
del gabbiano che si uccide di volo
e di tempesta.
Un uomo dipingeva il suo furore.
Vecchio pennello di girasoli aperti
come labbra e camera bambina.
Bandiera di vinti o vincitori? Chi può dirlo?
Un uomo dipingeva il suo tesoro:
volo di corvi e grano paglierino.
Io cantavo le note che la mente nasconde:
estensione di giallo rubato ai girasoli.

Canzone

Ti scrivo una canzone per le sere
d’inverno quando una luce bruna
si fa fumo e crepitano nell’ombra
le parole, quando la nebbia si consuma
piano, dipinge le figure e le fa sogno,
se muoiono nell’ombra le parole
tu grida forte un nome – per favore.
Ti scrivo una canzone per sognare,
un desiderio liquido – non trovi? –
sognare di sognarti: un pensiero
stupendo – canzone già sentita –
all’ombra dei ricordi hanno rumore
basso le parole.
Ti scrivo una canzone per le sere
d’inverno che profumi di pane e
rosmarino, quando ancora la neve
si fa fiore, troppo lunghi i capelli
sul filo del respiro.
Una canzone pigra, da mordicchiare
lenta, se i colori addormentano la notte
tenera nudità sui seni bianchi,
e l’impronta di te sulle mie mani.

Minuetto
(Firenze al mattino)

Dorme la mia città dentro le mura
come un glicine placido, avvolgente.
Su guizzi d’una danza minuetto
sbadigliano gli odori.
Il tram si muove in quiete cilestrina,
assonnato di luce, senza tempo.
Rapsodia distratta il battito del cuore.
Santa Maria del Fiore è languido torpore,
scioglie le ore trepide, azzurrine.
Si leva un sogno strano, un dubbio di betulla,
un segreto di viole, un incantesimo.
S’arrende l’oro, s’incanta: il Battistero avanza.
Vermiglia la rosa, freme un davanzale,
mentolina e basilico, un tetto di silenzi.
Ricci le nuvole.
Dorme la mia città distratto Amore
mentre l’aria si bagna di pervinche.
Celeste Bianco il mattino.
Zefiro lento al suono mandolino.

Ogni donna

Nel cuore di ogni donna c’è un segreto
un brivido leggero, un sogno strano,
qualcosa che si perde in turbamenti,
in ansie piccoline di canzoni.
Tu cerca di raccogliere il segnale,
l’ombra rossa che freme,
la porta dell’attesa, il piacere
che vaga sulle ciglia, il ricamo
del verso sulla pelle.
Noi donne siamo esseri di vento,
di terra bruna al guizzo della serpe,
fronde di un’onda incerta sulla danza,
farfalle stanche sui colori accesi.
Nascondiamo le lacrime in cassetti,
chiudendo a chiave l’orma del rimpianto.
Se sante o meretrici non importa
quando l’azzurro circuisce il cielo.

Chiaroscuri

Nel giorno che confonde i chiaroscuri
la luce si fa breve, il passo incerto.
Danza di ombre liquide, furtive.
Fantasmi della notte si ritirano
in geometrie di grigio, umide al sonno.
Impudente il respiro.
La penna amore è torpore e grida,
fruga gli anfratti, modella le lenzuola,
mi ritma il battito quasi fosse un volo.
Non c’è l’azzurro che dimora il cielo
ma l’odore graffiato delle foglie,
privilegio del tempo.
Il desiderio è onda che comprime, la
mano sulla pelle, rumore delle alghe
che danzano la riva.
E non ho mai smarrito labbra rosse,
nel cerchio delle rose.
Di perle e spine, folletto o meraviglia.

Desideri

Nel grembo della notte i desideri
sono aquiloni liberi, il fiato della rosa
che smarrisce, le lancette
d’un tempo tentazione.
Impossibile diluire i sogni.
Arrivano improvvisi sul respiro,
rubano carta e virgole,
si fermano sui punti fiordaliso.
Di terra e amore s’inchina l’ora quieta,
colma di tarli e cellule impazzite.
Nel grembo della notte i desideri
sono ombre umide, preda e cacciatore.
Sorprende la pigrizia dello sguardo.
Di pelle accesa veglia un’ora viola,
un fruscio umido, l’agguato della luna.
Volo guerriero a sbigottire il cielo.

 

 

Tiziana Curti

Tiziana Curti , poetessa e pittrice, è nata e vive a Firenze dove si è diplomata all'Istituto d'Arte di Porta Romana. Per i suoi quadri usa colori acrilici dai toni decisi e intensi, su supporti di cartone telato o su tela, portando avanti un concept personale. Gli strappi, i varchi che disegna sono un passaggio da una dimensione ad un'altra. Trae ispirazione dai grandi maestri della metafisica De Chirico e Morandi e da surrealisti come Dalì e Magritte, ponendosi nel filone della pittura novecentista in cui il segno è ancora importante e riconoscibile. Fa parte del Comitato Esecutivo dell'Accademia Alfieri come coordinatrice della “Biblioteca della Poesia del Secondo Novecento”. In Poesia ha conseguito numerosi premi, e in particolare ha vinto la selezione televisiva della trasmissione “Ci vediamo in tv” condotta da Paolo Limiti, con un testo pubblicato anche sul settimanale GENTE, ed è presente su numerose riviste e raccolte antologiche. Organizza e conduce serate di lettura di poesie, conferenze e presentazioni di libri. Collabora con la Pro Loco del comune di Abbadia San Salvatore all'organizzazione del Premio “UN MONTE DI POESIA“. Ha pubblicato tre raccolte di poesia, ” Venti e maree (2000), “ Per odio e per amore (2003), “ Alle Radici Del Canto (2009). Conduce il programma radio on line VETRINE D'AUTORE su radioblabla network e cura due blog di discussione letteraria e d'informazione eventi culturali http://tizianacurti.spaces.live.com e http://tizianacurti.wordpress.com

(Dalla rivista L'ALFIERE dell' Ottobre 2010)

Freccia verso il cielo

Incredibile luce
di questo giorno gelido, invernale
un'aria trasparente mi traduce
un tempo di confini oltre il giardino.
Oggi un sole regale
sparge nel giallo verde del mattino
casualmente luminose perle
schegge di luce, scampoli di specchi
e scheletriti stecchi.

Un vento di scirocco
mi ha modellato un sangue di tempesta
minimizzando nuvole in un biocco.
Amo la vita e corro all'infinito
non resto alla finestra.
Vivo sempre in fuga dall'ordito
ma ho sogni di bambina dentro al cuore
e il petalo d'un fiore

sulle labbra posato,
Ricerco tenerezza e una canzone
che porti via l'amaro del passato.
Ancora un'emozione
mi passerà vicino ora che affido
al vento dolce della primavera
nastrini colorati ed origami,
da appendere sui rami
d'un albero alto, freccia verso il cielo.

 

Chissà se fu . . (specchio lirico)

Chissà se fu la luna
che guidò i nostri passi dentro al sogno
per quale fata avemmo la fortuna

che oltre la laguna
si aprì la porta di altre dimensioni.
Passano i giorni senza che li conti
nell'attesa di vivere frammenti

d' eccezionali eventi.
Mi canta in cuore un'alba luminosa
anche se fuori piove e il cielo è grigio

so che in fondo al sentiero c'è una rosa,

immensa, dilagante come un'eco.
Celebriamo la folle nebulosa
che in pieno ora c'investe.

Noi siamo gli elfi dentro le foreste,
lungo le rive di freschi corsi d'acqua,
adornati con fiori di narciso
avvamperemo d'oro

e danzeremo in cerchio per coloro
che non hanno riflesso dentro agli occhi
un preludio sonoro.

 

Chimera

Chissà se giungerà l'amata ora
dove l'attimo sembra eternità,
ma t'accorgi quant'è profondo il solco
tra quello che si spera e la realtà.

Felicità ti abbraccio solo a tratti
raggiungerti è chimera, lo so già,
ma l'onda ballerina all'orizzonte
muta il corso all'evento che verrà.

Quanta strada per giungere alla riva
dove il tempo ribolle gorgogliando,
per ritrovare l'acqua di sorgiva
dove sta in equilibrio il verde ragno.

Non aspettavo niente e tu nemmeno
sentivo vivo il mondo che s'apriva,
dentro lo sguardo ombroso sale un velo
come un'increspatura alla deriva.

 

Elena Zucchini

Elena Zucchini abita a Genova, dove è nata; ha frequentato il Liceo Classico e si è laureata in Scienze Biologiche, svolgendo per oltre 20 anni la professione di biologo nell'industria farmaceutica. Attratta dalla scrittura in versi fin dall'infanzia, se n'è allontanata per l'avversione verso la poesia novecentista. Completamente assorbita dagli impegni lavorativi e familiari, si è riaccostata alla poesia quando, concluso il rapporto di lavoro e con le figlie già adulte, ha incontrato l'Accademia Alfieri. Ha aderito con entusiasmo al movimento letterario “Il Dolce Stile Eterno” e si è applicata allo studio della prosodia e della metrica e alla produzione di testi poetici che utilizzino esclusivamente versi canonici coronati da rime e inseriti in schemi metrici. Coordinatrice della Sezione Ligure dell'Accademia Alfieri, si occupa nella sua città di letture poetiche, eventi culturali e spettacoli di poesie, e conduce un Laboratorio di Versificazione in una prestigiosa sede comunale.

(Dalla rivista L'ALFIERE del Gennaio 2009)

Oggi

(rondò per mia figlia Elisa)

Oggi è con rinnovata tenerezza
che spio il tuo sonno calmo e sorridente.
Ritrovo la medesima dolcezza
di quando piccolina eri dormiente

accanto a me col tuo viso innocente
paffuto, col respiro sempre uguale
e i riccioli disordinatamente
mischiati ai miei capelli sul guanciale.

Oggi il tuo volto è d'un pallido ovale
ombrato dalle lunghe ciglia arcuate,
par di madonna rinascimentale,
ma fanciulle le labbra delicate.

Stringi con quelle dita affusolate
la tua coperta, tutta freddolosa.
Ti guardo in mezzo a lacrime salate
vinta da un'emozione silenziosa.

Oggi sei donna, sei meravigliosa!
Non riesco quasi a credere sia vero:
per me resti la mia bimba giocosa,
eppur comprendi a fondo il mio pensiero.

Libera voli già sul tuo sentiero
con la baldanza della giovinezza,
ma ancora cullo il tuo sonno leggero
privo di adulta consapevolezza.


Bruciano le mie labbra

Bruciano le mie labbra sulle tue,
brucia la pelle che alla tua aderisce,
brucio d'amore tutta se noi due
danziamo quella danza che sfinisce.

Passano i giorni, eppur non si esaurisce
la magia che rinnova i nostri sogni
e l'insperato amore che ci unisce
soddisferà i più intimi bisogni.

Il bacio mattutino che tu sogni,
per cui l'intera vita tua daresti
e i mille baci di cui tu abbisogni
te li darò ... e tu cosa faresti?

Certo la libertà mi lasceresti
di sceglierti ogni giorno con letizia
e i tanti baci contraccambieresti
per non esser tacciato d'avarizia.

Procederemo in complice amicizia,
ci intrigherà l'amor con l'arti sue ...
E finché Sorte ci sarà propizia,
mi brucerò le labbra sulle tue.


Agguato

Come una maga, svelta nella mossa
io cambio pelle ed il mio antagonista
disoriento, poi sfuggo alla sua vista
e posso ripartire alla riscossa.

Sì, mi diverto in questa caccia grossa!
(chi è la preda e chi è il predatore?)
Sento vibrare l'ansia nel suo odore,
mentre resto acquattata nella fossa.

Balzo e spalanco la mia bocca rossa,
affondo i denti dritta sino al cuore
e il mio veleno inietto con furore.

Leggo in quegli occhi una gioia frammista
d'accettazione rapida, imprevista
e il mio potere bevo fino alle ossa.


Voce

(a Elena Pelizza)

Bellezza è quella ch'esce dai tuoi occhi
e scivola sui raggi degli sguardi
che ovunque tu li attardi
sono messaggi, sono lievi tocchi ...
Velluto di corolla e di rugiada,
ala d'angelo che frulla e s'invola,
bellezza che prorompe dalla gola,
un picco che digrada
e accompagna acqua chiara al vasto mare,
dov'è dolce annegare.

Bellezza che ti sgorga dalla pelle,
piuma che danza al moto delle dita,
profumo che si avvita
in volute che inebriano le stelle ...
Miele biondo che sprizza di sorpresa,
soavità che nelle vene cola,
bellezza che prorompe dalla gola,
tutta di fuoco accesa,
pallida perla fra le labbra rosa
rotola voluttuosa.

E' curva d'onda, graffio inferto al cielo,
schiaffo di vento, fremito di stelo.


Fragile è la notte

... ma fragile è la notte nei respiri,
quando le ciglia gravano sugli occhi,
quando ovattati giungono i rintocchi
scorrendo sopra le ali dei sospiri.

Quando le ciglia gravano sugli occhi
dopo l'amore, dopo i suoi raggiri,
scorrendo sopra le ali dei sospiri
piovono i sogni lievi come fiocchi.

Dopo l'amore, dopo i suoi raggiri,
non tremano nell'ansia i tuoi ginocchi ...
piovono i sogni lievi come fiocchi,
quando in te stessa tutta ti ritiri.

Non tremano nell'ansia i tuoi ginocchi
mentre nel buio impazzano i vampiri,
quando in te stessa tutta ti ritiri
e in quei bei sogni ridi e ti balocchi.

 

Gioia Guarducci

Gioia Guarducci, vive a Firenze, dove ha insegnato Letteratura Italiana e Storia nelle Scuole Superiori. Ama scrivere e dipingere. I suoi quadri sono stati presentati in mostre e rassegne d'arte figurative, sia a livello regionale che nazionale. Nel 1998 ha dato alle stampe il volume " Mimose ", in cui ha raccolto la sua prima produzione di liriche. Successivamente ha pubblicato un'antologia di sonetti in vernacolo fiorentino intitolata "Da' retta, Nanni.... " oggi alla sua seconda edizione. Per qualche tempo ha collaborato con la redazione regionale toscana del quotidiano “Il Giornale”, con poesie in vernacolo. Nel 2002 ha presentato il volume di poesie “ Veglia d'amore ”. Ha ottenuto riconoscimenti in concorsi di poesia e narrativa (tra gli altri il primo premio per la “Poesia dell'anno 1999” bandito dalla Nuova Tribuna Letteraria) e molte sue liriche sono presenti in antologie e riviste letterarie. Collabora con il periodico letterario “Il Dolce Stile Eterno”, organo del Laboratorio di Poesia dell'Associazione “Accademia Vittorio Alfieri” di Firenze.

(Dalla rivista L'ALFIERE del Giugno 2008)

Regalami lo spazio d'un ricordo ...

Regalami lo spazio d'un ricordo...
Eco di passi noti in fondo al cuore,
luce d'un lampo che rosseggia e muore,
ma stampa la sua impronta nello sguardo.

Ritorna col pensiero a un altro inverno:
bagliori di finestre illuminate,
due ombre che procedono allacciate
sotto i fiochi lampioni del Lungarno.

Nel petto trema un volo di farfalle,
un fremito struggente, un batter d'ale,
un suono di campane di Natale
che incrina l'aria nera senza stelle.

Stasera vado sola col rimpianto
in cerca del tuo viso tra la gente,
che mi oltrepassa estranea, indifferente...
alle mie spalle, per compagno, il vento.


Vigilia di Natale

Vigilia di Natale. Un vento lieve,
pungente come spine d'agrifoglio.
Lungo la strada, cordoli di neve
e un salice ritorto, nero e spoglio.

Girovaghiamo insieme, senza meta,
il tuo passo all'unisono col mio.
L'orizzonte impalpabile, di seta,
serba del sole un breve scintillio.

Sui colli, sparse luci di presepe
e un ricordo venuto di lontano,
di lucciole inseguite oltre la siepe,
racchiuse dentro il cavo della mano,

furtivo dono d'un adolescente,
in un'estate di tanti anni fa,
posa sul cuore silenziosamente,
segreto pegno di felicità.


Amore mio

Amore mio, sorridimi stasera
e lascia scivolare i tuoi pensieri,
chiudiamo il mondo estraneo dietro i vetri,
questo giorno svanisce ed è già ieri.

Il vento invano tenterà le porte,
insieme stretti aspetteremo il sole,
mi scalderai, ti scalderò le mani
dentro la notte densa di parole.

Io non ti chiedo quanto può durare
questo tempo di favole incantato
e tutto crederò, filando l'alba,
senza futuro e senza più passato.


Piove

Piove, piove stasera.
Un fresco odore d'erba nella stanza
porta la primavera insieme al vento
fugace e lieve come la speranza.

Solitario e scontento
nel giardino dei sogni vaga il cuore,
dietro ogni foglia cerca il tuo sorriso,
trepido insegue l'ombra dell'amore.

Un ricordo improvviso,
un'eco di parole antiche e nuove,
resta in ascolto l'anima sospesa.
Oltre i vetri appannati piove, piove.

Una lampada accesa.
mentre imbrunisce a poco a poco il giorno,
scivola l'acqua e nel silenzio piange
sul tempo andato che non fa ritorno.


L' impronta del tuo bacio

L'impronta del tuo bacio non si sciolse
come l'orma dei passi nella neve,
ma restò sulle labbra un gusto lieve,
miele di tiglio e bacche di ginepro.

Il segreto del bacio, grido muto,
accese l'ombra grigia della sera,
il cuore sospirava primavera
e il languore di notti vellutate.

La neve che volteggia dietro i vetri
rievoca ai sensi l'armonia stregata
di una stagione acerba, sigillata
da quel tuo bacio a fine di Febbraio.


Notte di marzo

Una pozza di luce oltre l'altura
si asciuga e trascolora nella quiete.
Il fuoco acceso tra le vecchie mura
disegna il tuo profilo alla parete.

Sei stato acqua sorgente alla mia sete,
fresca ventata contro la calura,
e palpito di lucciole segrete
tra l'ali d'ombra della notte scura.

Mentre ti penso, in fondo allo stradone
s'alza un canto d'un epoca passata.
Mi affaccio, l'aria odora di limone,

l'oscurità di stelle è trapuntata.
Sottovoce accompagno la canzone,
la primavera forse è ritornata.


Stagioni che vanno

Arde l'estate, rondini nel cielo,
le sere si riempiono di gridi,
presto l'autunno coprirà d'un velo
d'umida nebbia i freddi spogli lidi.

Verrà l'inverno e avrà denti di gelo,
si disfaranno in fango e paglia i nidi,
il girasole fletterà lo stelo,
ma il cuore sboccerà se tu sorridi.

Le parole non dette fioriranno
sulle mie labbra come bucaneve
che d'improvviso sfolgorano al sole.

Le parole segrete, quelle sole,
che sfidano il silenzio della neve,
bianchi germogli per il nuovo anno.

 

 

L' Antologia

Poesie

DALMAZIO MASINI: Dicembre
MARIO MACIOCE: Sera d' estate
ANNA COTTINI: Non grido
MASSIMO PINZUTI : Falco in amore
ELISABETTA ANTONANGELI: Rimpianto
CARLO CANTAGALLI: Alla terra
GIUSEPPE COLAPIETRO: Ricordi
MONICA ORSI: Il temporale
ELENA MALTA : Come un miraggio
ALESSANDRO VALENTINI: Il viale del tramonto
FRANCESCO DETTORI: Dolce Stile Eterno
DOMENICO CAPPELLI: Roma
CLAUDIO PORENA: Balocchi
VITTORIO VERDUCCI: Notte turchina
SONIA BORTOLOTTI: Partenze d'estate
RODOLFO VETTORELLO: La metafora e il nulla
STEFANO FRILLI: Stella splendente