Le rubricheIl Dolce Stile Eterno
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V parte |
V parte
DIEGO VALERI - Ha attraversato i primi 3 quarti del xx secolo la figura e l'opera di Diego Valeri, ma
silenziosamente come nel suo stile di campagnolo veneto, non propenso a piazzate e a prese di posizione
provocatorie. Era nato a Piove di Sacco, in provincia di Padova, nel 1887 a 21 anni si era già laureato in
lettere. La sua prima, breve, raccolta "Le gaie tristezze" la stampò nel 1913, naturalmente a sue
spese, l'ultima "Colle del vento" (Ediz. Mondadori) è del 1975, un anno prima della sua morte e tra
questi due pilastri un'altra trentina di pubblicazioni di vario genere, poesie, romanzi e racconti, opere teatrali,
saggi.
Si sente in tutta la sua poesia un forte richiamo a temi dolci, cari al Pascoli e ai crepuscolari, ed anche lo stile
non è cambiato molto nel corso degli anni. E qui sta forse il suo limite, uno stallo che sa più di involuzione in
quanto i suoi versi perdono la musica delle rime, si appiattiscono e diventano "frasi".
Vediamo invece la sua prima produzione rileggendoci questa deliziosa "Veneziana" dove l'intreccio
delle rime e il ritmo fisso dell'ottonario sembrano riprodurre il muoversi delle acque appena oscillanti nei canali
veneziani, e, in contrapposizione "Piazza delle Erbe" tutta intrisa dei colori e dei suoni della terra;
infine due contrastanti immagini marine: la partenza dei bastimenti nella fredda sera autunnale e il luminoso
ritorno dei pescatori riflesso negli occhi di una fanciulla (da notare in quest'ultimo testo la divisione in strofette
di due versi, molto lunghi e di metrica varia, tutti poggiati sull'affetto delle "rime baciate").
La biondina è sul balcone,
capo chino, ciglia basse,
tra le pallide erbe grasse
e il geranio vermiglione.
L' aria, i muri, il rio deserto
nel crepuscolo che muore
sono fisi al nuovo fiore
che lassù risplende aperto.
Lei però non ne sa nulla;
monda attenta il suo giardino,
ciglia basse e capo chino.
(Lei non è che una fanciulla.)
Ora par che all'improvviso
l'abbia alcuno nominata.
Guarda intorno trasognata,
leva al cielo il bianco viso.
Gli occhi d'oro van cercando
qualche ignota strana cosa
nella luce dubitosa
del crepuscolo amaranto.
Ma nel cielo non c'è nulla;
spenti i muri, chiuso il rio
nel suo cupo dondolio.
(Lei non è che una fanciulla.)
A Verona, quel turbolento
pomeriggio di tarda estate
(nuvole in giro, rotte, strappate,
per un cielo verde di vento),
m'ero incantato a contemplare
i giochi magici del sole
tra gli ombrelloni delle erbaiole,
che si riaprivano ad asciugare.
Tanta gioia m'aveva preso
(oh, la mia vecchia gioia fanciulla!),
che non pensavo proprio a nulla,
e il cuore m'era come sospeso.
Traboccavano dalle ceste
uve biondine, diafane, pallide,
su peperoni lucidi gialli
e su rosati velluti di pesche;
dalle cannelle della fontana
si discioglievano trecce d'argento,
e una canzone di corcontento
intorno intorno si dilatava.
Mio tutto l'oro che a sprazzi pioveva
dal cielo ondoso temporalesco;
mio quel colore e profumo fresco
d'erbe bagnate, di frutti di terra!...
Ma poi che porsi, appena a sfiorare,
sopra una pèsca la mano vogliosa,
con una fitta dolorosa
mi riprese l'antico mio male;
ché mi sovvenne una tenera mano
e quella guancia delicata...
Tutta la gioia m'era mancata,
solo a pensare il tuo viso lontano.
Riva di pena, canale d'oblio...
Ora è la grande ombra d'autunno:
la fredda sera improvvisa calata
da tutto il cielo fumido oscuro
su l'acqua spenta, la pietra malata.
Ora è l'angoscia dei lumi radi,
gialli, sperduti per il nebbione,
l'uno dall'altro staccati, lontani,
chiuso ciascuno nel proprio alone.
Riva di pena, canale d'oblio...
Non una voce dentro il cuor morto.
Solo quegli urli straziati d'addio
dei bastimenti che lasciano il porto.
Rovesciavi il bel viso in fanciullesco modo,
per ascoltare quel trillo alto perduto di allodola;
guardavi stupita gli spazi mattina
fumante nel sole, confusa alla bianca marina.
Poi vennero i pescatori: con lunghi strappi oscillanti,
con rotte grida, tiravano in secco le reti stillanti.
Nel bruno groviglio dei fili scorgesti un guizzare d'argenti
di azzurri di verdi. Ridevi tutta, occhi labbra denti.
Diego Valeri
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