Le rubriche
Il Dolce Stile Eterno nella poesia italiana del XX secolo
di Dalmazio Masini
tratto da L'Alfiere, rivista letteraria della "Accademia V.Alfieri" di Firenze
VIII parte
GUIDO GOZZANO - L'ultimo dei grandi autori della tradizione poetica italiana, venuto
dopo il trio di fine ottocento, Carducci, Pascoli, D'Annunzio, fu Guido Gozzano. Ed è a questo "grande cantore" delle "piccole cose" che
dedicheremo tutto questo spazio.
Nacque a Torino il 19 Dicembre del 1883 e già all'età di 20 anni si
faceva apprezzare per le qualità dei suoi versi, di un'amara ironia che
andò sempre pi— facendosi, marcata con il progredire della tubercolosi
che poi, nel 1907, si manifestò con tutta la sua forza devastante.
E fu proprio nel 1907 che uscì la sua prima raccolta "La via del
rifugio". Poi nel 1911 si conobbe il suo capolavoro: "I Colloqui",
raccolta che inglobò, talvolta con varie rielaborazioni, anche i testi
più significativi della raccolta precedente.
Ma la malattia procedeva inesorabile e contro questa cozzavano tutte le
sue forze fino alla precoce resa; morì il 9 Agosto del 1916.
Oggi lo si definisce il caposcuola dei "crepuscolari", ma è una
definizione che dice ben poco, anche perché, a differenza dei
contemporanei "futuristi", i crepuscolari non fecero mai gruppo e quello
fu un termine ad uso e consumo dei critici letterari dell'epoca.
Ed io non trovo fioca luce crepuscolare nelle poesie di Guido Gozzano,
bensì un sole luminosissimo che le ha fatte risplendere per tutto lo
scorso secolo e che, sicuramente, le inonderà di luce anche per questi
anni 2000.
Qui si può leggere il bel sonetto "Il buon compagno" e i brani iniziali,
centrali e finali del poemetto "La signorina Felicita". La signorina
Felicita è certamente una delle opere più belle del nostro Novecento, un
poemetto lungo 434 versi endecasillabi che racconta la storia d'amore
del poeta con la figlia di un signorotto provinciale non più in floride
condizioni economiche. Amore platonico, ma vibrante, tutto a 360 gradi.
Il buon compagno
Non fu l'Amore,no. Furono i sensi
curiosi di noi, nati pel culto
del sogno ... E l'atto rapido, inconsulto,
ci parve fonte di misteri immensi.
Ma poi che nel tuo bacio ultimo spensi
l'ultimo bacio e l'ultimo sussulto,
non udii che quell'arido singulto
di te, perduta nei capelli densi.
E fu vano accostare i nostri cuori
già riarsi dal sogno e dal pensiero;
Amor non lega troppo uguali tempre.
Scenda l'oblio; immuni da languori
si prosegua più forti pel sentiero,
buoni compagni ed alleati: sempre.
da "La signorina Felicita"
Signorina Felicita, è il tuo giorno!
A quest'ora che fai? Tosti il caffè,
e il buon aroma si diffonde intorno?
O cuci i lini e canti e pensi a me,
all'avvocato che non fa ritorno?
E l'avvocato è qui: che pensa a te.
Pensa i bei giorni d'un autunno addietro,
Vill'Amarena a sommo dell'ascesa
coi suoi ciliegi e con la sua Marchesa
dannata, e l'orto dal profumo tetro
di busso e i cocci innumeri di vetro
sulla cinta vetusta, alla difesa ...
Vill'Amarena! Dolce la tua casa
in quella grande pace settembrina!
La tua casa che veste una cortina
di granoturco fino alla cimasa:
come una dama secentista, invasa
dal Tempo, che vestì da contadina.
Bell'edificio triste inabitato!
Grate panciute, logore, contorte!
Silenzio! Fuga delle stanze morte!
Odore d'ombra! Odore di passato!
Odore d'abbandono desolato!
Fiabe defunte delle sovrapporte!
. . . . . . .
Tu mi fissavi ... Nei begli occhi fissi
leggevo uno sgomento indefinito;
le mani ti cercai, sopra il cucito,
e te le strinsi lungamente, e dissi:
“ Mia cara Signorina, se guarissi
ancora, mi vorrebbe per marito?”
“ Perché mi fa tali discorsi vani?
Sposare, Lei, me brutta e poveretta! ...”
E ti piegasti sulla tua panchetta
facendo al viso coppa delle mani,
simulando singhiozzi acuti e strani
per celia, come fa la scolaretta.
Ma nel chinarmi su di te, m'accorsi
che sussultavi come chi singhiozza
veramente, ne sa più ricomporsi:
mi parve udire la tua voce mozza
da gli ultimi singulti nella strozza:
“Non mi ten...ga mai più... tali dis...corsi!”
“ Piange?” E tentai di sollevarti il viso
inutilmente. Poi, colto un fuscello,
ti vellicai l'orecchio, il collo snello ...
Già tutta luminosa nel sorriso
ti sollevasti vinta d'improvviso,
trillando un trillo gaio di fringuello.
Donna: mistero senza fine bello!
Tu m'hai amato. Nei begli occhi fermi
luceva una blandizie femminina;
tu civettavi con sottili schermi,
tu volevi piacermi, Signorina;
e più d'ogni conquista cittadina
mi lusingò quel tuo voler piacermi!
Unire la mia sorte alla tua sorte
per sempre, nella casa centenaria!
Ah! Con te, forse, piccola consorte
vivace, trasparente come l'aria,
rinnegherei la fede letteraria
che fa la vita simile alla morte ...
Oh! questa vita sterile, di sogno!
Meglio la vita ruvida, concreta
del buon mercante inteso alla moneta,
meglio andare sferzati dal bisogno,
ma vivere di vita! Io mi vergogno,
sì, mi vergogno d'essere un poeta!
. . . . . .
Nel mestissimo giorno degli addii
mi piacque rivedere la tua villa.
La morte dell'estate era tranquilla
in quel mattino chiaro che salii
tra i vigneti già spogli, tra i pendii
già trapunti di bei colchici lilla.
Forse vedendo il bel fiore malvagio
che i fiori uccide e semina le brume,
le rondini addestravano le piume
al primo volo, timido, randagio;
e a me randagio parve buon presagio
accompagnarmi loro nel costume.
“ Viaggio con le rondini stamane ...” -
“Dove andrà?” – “Dove andrò? Non so... Viaggio,
viaggio per fuggire altro viaggio ...
Oltre Marocco, ad isolette strane,
ricche in essenze, in datteri, in banane,
perdute nell'Atlantico selvaggio ...
Signorina, s'io torni d'oltremare,
non sarà d'altri già? Sono sicuro
di ritrovarla ancora? Questo puro
amore nostro salirà l'altare?”.
E vidi la tua bocca sillabare
a poco a poco le sillabe: giuro.
. . . . . .
|