Le rubricheIl Dolce Stile Eterno
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VII parte |
VII parte
SANDRO PENNA - Era nato nel giugno del 1906, a Perugia, e morì a Roma nel Gennaio del 1977. Una vita grigia la sua, condotta in maniera disordinata e sempre tesa a far quadrare i bilanci delle sue poche entrate "letterarie" con le basilari esigenze vitali. In alcuni periodi ebbe anche contratti di collaborazione con importanti quotidiani e riviste, tipo "Il giornale d'Italia", "Paese Sera", "Il Mondo", "Oggi", ecc., ma lasciava cadere presto il tutto per ritirarsi nel suo guscio. Eppure accanto a tante pochezze fu uno dei portabandiera della più viva trasgressione letteraria dell'Italia della metà del secolo, con la sua dichiarata omosessualità cantata ed esaltata in tanti tenerissimi versi. Trasgressione di vita che lui avvertì la necessità di elevare a normalità inquadrandola nelle regole della poesia. Così nel periodo dell'ermetismo fu il navigatore controcorrente che continuava a privilegiare una comunicazione chiara ed espressa in versi regolari cuciti da vari intrecci di rime. Spesso poesie brevi e brevissime fermanti sensazioni o immagini fuggitive, ma si può dire che il suo fu sempre un "Dolce Stile Eterno". Le strofe riportate sono estratte da: "Sandro Penna / Tutte le poesie" Ediz. Garzanti.
XI
Il fanciullo magretto torna a casa
un poco stanco e molto interessato
alle cose dell'autobus. Pensa
- con quella luce che viene dai sensi
dai sensi ancora appena appena tocca -
in quanti modi adoperar si possa
una cosa ch'è nuova e già non tiene
se inavvertito ogni tanto egli tocca.
Poi si accorge di me. E raffreddato
si soffia il cuore fra due grosse mani.
Io devo scendere ed è forse un bene.
XIII
Per averlo soltanto guardato
nel negozio dove io ero entrato
sulla soglia da dove egli usciva
è rimasto talmente incantato
con gli occhi tonti ferma la saliva
che il più grande gli fece: Hai rubato?
Poi ne ridemmo insieme tutti e tre
ognuno all'altro tacendo un perché
uniti da quell'ultimo perché
che lecito sembrava a tutti e tre.
XXVI
Il gatto che attraversa la mia strada
o bianco o nero stasera mi aggrada.
Ma non mi aggradi tu stanca puttana:
chiuditi con un altro nella tana.
XXIX
Come è forte il rumore dell'alba!
Fatto di cose più che di persone.
Lo precede talvolta un fischio breve,
una voce che lieta sfida il giorno.
Ma poi nella città tutto è sommerso.
E la mia stella è quella stella scialba
mia lenta morte senza disperazione.
* * *
Sempre fanciulli nelle mie poesie!
Ma io non so parlare d'altre cose.
Le altre cose son tutte noiose.
Io non posso cantarvi Opere Pie.
* * *
Nei vicoli notturni ove rimane
un fanciullo superstite la mia
vita si gonfia di malinconia.
* * *
Malinconia d'amore, dove resta
bianco il sorriso del fanciullo come
un ultimo gabbiano di tempesta.
* * *
Sotto l'alba piovosa se n'è andato
il mio amore con un gaio passo.
Io l'ho visto svoltare, e m'ha baciato
il cuore ancora con l'ultimo passo.
Non vale il grigio, non vale la strada
contro la luce dei suoi sedici anni.
Non vale il grigio, non varrà il tempo
contro una luce, miei poveri panni.
* * *
Il mio fanciullo ha le piume leggere.
Ha la voce sì viva e gentile.
Ha negli occhi le mie primavere
perdute. In lui ricerco amor non vile.
Così ritorna il cuore alle sue piene.
Così l'amore insegna cose vere.
Perdonino gli dèi se non conviene
il sentenziare su piume leggere.
* * *
Salgono in compagnia dei genitori
i bei ragazzi dagli occhi legati.
Noi siamo qui, senza malinconia,
avidi un poco, poveri soldati.
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