Le rubriche

 

1 OTTOBRE 2005 - CONVEGNO DI GENOVA

Il SONETTO dal Dolce Stil Novo al Dolce Stile Eterno

8 secoli di successo in tutto il mondo della più italiana delle forme poetiche

di Elena Zucchini

tratto da L'Alfiere, rivista letteraria della "Accademia V.Alfieri" di Firenze

 

I parte

II parte

III parte

IV parte

V parte

VI parte

VII parte

VIII parte

IX parte

X parte

XI parte

 

III parte

Entriamo cosi nel 1300… ed eccoci a FRANCESCO PETRARCA, colui che ha elevato il sonetto ad altissimi livelli di temi, di stile, di tono e di linguaggio. Nato ad Arezzo nel 1304 e morto nel 1374, Petrarca può essere considerato il fondatore della lirica moderna con la “scoperta” di un'interiorità nuova segnata dalla conflittualità interna. Egli sarà il polo d'orientamento di tutta la poesia del ‘500.

Solo et pensoso

Solo et pensoso i più deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human l'arena stampi.

Altro schermo non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti,
perché negli atti d'alegrezza spenti
di fuor si legge com'io dentro avampi:

sì ch'io mi credo omai che monti et piagge
et fiumi et selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch'è celata altrui.

Ma pur sì aspre vie né sì selvagge
cercar non so ch'Amor non venga sempre
ragionando con meco, et io co' llui.

 

Il sonetto continua il suo percorso attraverso l'Umanesimo (secolo XV) e attraverso il Rinascimento (secolo XVI), somma gloria italiana, conoscendo grande fortuna sia nello stile aulico-amoroso ad opera di Lorenzo il Magnifico, del Boiardo e di tutto il gruppo dei Petrarchisti che spesso cadono nel più freddo manierismo (Pietro Bembo, Vittoria Colonna, Gaspara Stampa e Giovanni Della Casa inventore dell'enjambement) [=prolungamento logico da un verso al successivo] e soprattutto di Torquato Tasso, sia nello stile comico-realistico (Burchiello, Berni). Persino il grandissimo MICHELANGELO BUONARROTI ci lascia una serie di sonetti, ma di lui si ricordano ben altre opere!

 

Ed è proprio a questo punto che il sonetto valica le Alpi e si propaga in tutta Europa.

 

SPAGNA

GARCILASO DE LA VEGA di Toledo (1503-1536) si familiarizzò in Italia con la letteratura italiana. Con lui la poesia spagnola si apre all'influsso del Petrarchismo e assimila la metrica italiana a cominciare dall'endecasillabo. Nelle sue “Obras” scrive 38 sonetti dove l'espressione del sentimento amoroso non scade nel manierismo degli epigoni petrarchisti. Riportiamo il testo originale di

Hermosas ninfas

Hermosas ninfas, que en el río metidas,
contentas habitáis en las moradas
de relucientes piedras fabricadas
y en columnas de vidrio sostenidas,

agora ésteis labrando embebecidas
o tejiendo las telas delicadas,
agora unas con otras apartadas
contándoos los amores y las vidas:

dejad un rato la labor, alzando
vuestras rubias cabezas a mirarme,
y no os detendréis mucho según ando,

que o no podréis de lástima escucharme,
o convertido en agua aquí llorando,
podréis allá despacio consolarme.

e la bella libera traduzione interpretativa, in metrica perfetta, del nostro CARLO CANTAGALLI, che si è pure occupato della lettura dei testi in lingua spagnola:

Ninfe graziose immerse nel torrente
fatto dimora per i vostri incanti
e adornato con pietre luccicanti
e colonne di vetro trasparente,

adesso ricamate febbrilmente
o tessete le tele sfavillanti,
poi, appartate, lungi dagli astanti,
vi narrate gli amori della gente:

se poteste lasciare i vostri ardori
mirandomi tra i riccioli dorati,
io non vi tratterrò coi miei dolori,

ma non potendo averli a voi narrati
trasformerò in acqua i miei languori
ove saranno presto consolati.

 

A cavallo tra otto e novecento il sonetto è ancora presente in Spagna nell'opera di Machado e Jiménez. Ma a testimoniare la diffusione mondiale del sonetto, che ha pure trasvolato l'Oceano, proponiamo, sempre in lingua spagnola, un sonetto d'amore di PABLO NERUDA. Nato a Parral, in Cile sulle Ande, nel 1904 e morto a Santiago nel 1973, si dedicò alla carriera diplomatica e politica e conobbe un lungo esilio che lo portò per lungo tempo in Spagna dove frequentò i poeti dell'epoca fra cui Garcia Lorca, cui dedicò un'ode famosa. Dai “Sonetti d'amore” abbiamo scelto il Sonetto LXVI che giocando su due sole rime è un “sonetto continuo”:

No te quiero sino porque te quiero
y de quererte a no quererte llego
y de esperarte cuando no te espero
pasa mi corazón del frío al fuego.

Te quiero sol porque a ti te quiero,
te odio sin fin, y odiandote te ruego,
y la melodia de mi amor viajero
es no verte y amarte como un ciego.

Tal vez consumirá la luz de Enero,
su rayo cruel, mi corazón entero,
robándome la llave del sosiego.

En esta historia sólo yo me muero
y moriré de amor porque te quiero,
porque te quiero, amor, a sangre y fuego.

 

così tradotto da Giuseppe Bellini:

Non t'amo se non perché t'amo
e dall'amarti a non amarti giungo
e dall'attenderti quando non t'attendo
passa dal freddo al fuoco il mio cuore.

Ti amo solo perché io te amo,
senza fine io t'odio, e odiandoti ti prego,
e la misura del mio amor viandante
è non vederti e amarti come un cieco.

Forse consumerà la luce di Gennaio,
il raggio crudo, il mio cuore intero,
rubandomi la chiave della calma.

In questa storia solo io muoio
e morirò d'amore perché t'amo,
perché t'amo, amore, a sangue e fuoco.

(segue)

 

I parte

II parte

III parte

IV parte

V parte

VI parte

VII parte

VIII parte

IX parte

X parte

XI parte