Le rubrichePiccola Storia della Poesia Italianadi Mario Maciocetratto da L'Alfiere, rivista letteraria della "Accademia V.Alfieri" di Firenze
IV parte FRANCESCO PETRARCA Se Francesco può ancora vedere come vanno le cose del mondo, forse sarà un po' deluso. Petrarca nacque ad Arezzo nel 1304, (Dante era già quasi quarantenne) da genitori fiorentini in esilio e visse in Toscana, poi a lungo in Francia, quindi di nuovo in Italia, in varie città del nord; si ritirò infine ad Arquà, presso Padova, dove, a settant' anni, morì. La sua opera più famosa è il Canzoniere, che comprende 366 poesie, per lo più sonetti, con alcune
canzoni, sestine, ballate e madrigali. In questo primo esempio è particolarmente evidente il gusto di Petrarca per i giochi di parole e per le rime "equivoche", cioè fatte da parole apparentemente identiche, ma con significato diverso. Per esempio "luce" è usata successivamente nel senso di: risplende (verbo) - luce, splendore - vita - vista. Quand' io son tutto volto in quella parte i' che temo del cor che mi si parte, Così davanti ai colpi della Morte Tacito vo; che le parole morte Quando sono tutto rivolto (col pensiero) a quella parte dove risplende il bel viso di Madonna (Laura, non Ciccone, anche perché di questa tutto si può dire, ma non che il suo viso risplenda) e m' è rimasta nel pensiero la luce che mi arde e mi strugge dentro da parte a parte; io che temo che il cuore mi si spezzi e vedo vicino la fine della mia vita, me ne vado come un cieco senza vista, che non sa dove sta andando, eppure va. Così fuggo davanti ai colpi della Morte; ma non così veloce che il desiderio (di morte) non venga con me, come suole fare. Vado silenzioso; perché le parole disperate farebbero piangere la gente; ed io desidero che le mie lacrime si spargano da sole.
Più famoso è questo sonetto in cui è presente, come in molte altre poesie del Canzoniere, un gioco di parole, basato sul nome della donna amata (l' aura - Laura). Erano i capei d' oro a l' aura sparsi, e 'l viso di pietosi color farsi, Non era l' andar suo cosa mortale, Uno spirto celeste un vivo sole Erano sparsi all' aria i capelli d' oro, che lei avvolgeva in mille dolci nodi; e ardeva oltre misura la bella luce di quegli occhi che ora ne sono così poveri (per il passare degli anni o per malattia); e il viso mi pareva tingersi, non so se era vero o un' illusione, di colori che suscitano tenerezza: io che avevo nel petto l'esca amorosa (negli accendini dell' epoca, l'esca era una sostanza che prendeva fuoco con facilità, per una semplice scintilla), qual meraviglia se mi accesi subito? La sua andatura non era cosa mortale, ma degna di un angelo; e le parole suonavano diversamente che una semplice voce umana. Uno spirito celeste, un vivo sole fu quello che io vidi; e se ora non fosse più così, la ferita non guarisce perché si allenta l' arco (che l' ha provocata).
Vediamo ora un esempio di canzone (in parte, perché piuttosto lunga). Chiare, fresche e dolci acque, 1 pose = adagiò
E chiudiamo, ancora dal Canzoniere, con una "sestina" (prime due strofe). A qualunque animale alberga in terra, Ed io, da che comincia la bell' alba Il Poeta ci dice che gli animali, salvo quelli notturni, si affannano durante il giorno, ma poi la notte riposano; lui invece, per le pene d' amore, non ha tregua dall'alba al tramonto e quando cala la notte continua a piangere aspettando il nuovo giorno. La caratteristica di questa composizione, come si vede già in quest' inizio, è che le parole finali dei versi (terra - Sole - giorno - stelle - selva - alba) sono sempre le stesse in ogni strofa e ruotano, non in modo casuale, ma secondo un ben preciso schema che si ripete. Anche questo è un gioco raffinato e complicato, adatto al gusto medioevale, quando fra l' altro non c' erano televisione e computer a portar via tempo!
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