Le rubriche
Piccola Storia della Poesia Italiana
di Mario Macioce
tratto da L'Alfiere, rivista letteraria della "Accademia V.Alfieri" di Firenze
XVIII parte
Per una breve panoramica su alcuni poeti crepuscolari, cominciamo con Carlo Chiaves (Torino 1882 - 1919); da "Sogno e ironia", Pellegrinaggio invernale
L'altro giorno - non so da qual coraggio
l'anima a un tratto mi sentissi invasa - son tornato a la tua piccola casa coi miei ricordi, in pio pellegrinaggio.
Sono tornato quasi in sogno: attratto
da quel senso che si compiace e appaga come di un gioco, di inasprir la piaga, di ravvivarla, in fondo al cuor disfatto.
Varcato il fiume, presi, lento, lento,
a salir per la via de la collina: splendeva il sole e tanta era la brina che ogni ramo parea quasi d'argento.
Ho rivista la panca, tutta verde
di musco; il ponticello; la fontana ghiacciata: più non canta in voce umana e solo a goccie giù l'acqua disperde.
Giunsi e varcai la soglia: che deserto,
il giardino! che schianto! le tue rose, morte! e i gerani! quante morte cose! Una donna è venuta, che mi ha aperto. . . . . . .
Cadea la sera. In basso, fra le brume,
per le tremule fiamme dei fanali, si costellava la città di opali. Qualche bagliore si frangea, nel fiume. . . . . . .
Poi Sergio Corazzini (Roma 1886 - 1907) che pubblicò giovanissimo alcune raccolte di poesie, ma a vent'anni fu ricoverato in sanatorio e morì pochi mesi dopo. Da "Piccolo libro inutile":
Oh, io sono, veramente malato! E muoio, un poco, ogni giorno. Vedi: come le cose. Non sono, dunque, un poeta: io so che per esser detto: poeta, conviene viver ben altra vita! Io non so, Dio mio, che morire. Amen.
e un anomalo sonetto in settenari: Dopo Il passo degli umani
è simile a un cadere di foglie ... Oh! primavere di giardini lontani!
Santità delle sere
che non hanno domani: congiungiamo le mani per le nostre preghiere.
Chiudi tutte le porte.
Noi veglieremo fino all'alba originale,
fino che un immortale
stella segni il cammino, novizii, oltre la Morte!
Di Marino Moretti (Cesenatico 1885 - 1979) alcuni versi da Il prefetto :
. . . . . .
Guardavo il cielo. Ed ei venne, il prefetto - un prete - e mi toccò, prima, le spalle: poi mi sorrise e mi diede un buffetto.
«Che fai? Non giochi? Che pensi, bambino?»
Io non risposi: gli accennai confuso gli alberi di quel povero giardino. . . . . . .
Povero prete! Avea trent'anni buoni, e non potea dir messa: era un bocciato. Ah quel latino! quelle due versioni!
Io lo guardai quasi riconoscente
toccandogli la sua ruvida mano, dicendo: «Anch'io ...» ma inavvertitamente. . . . . . .
Ei mi comprese e mi sorrise, e fece un gesto vago con la mano breve, e disse: «Invece ... Se sapessi, invece!
Quel che so fare ... Quando detta il cuore ...
Dei versi, guarda ... Bada, non si deve sapere ... Guarda! Poesie d'amore ...»
E mi mostrò dei fogli; e lesse, lesse.
Era un poeta. Perché dunque tanto m'avea parlato d'esami e di messe?
Perché indossava quella veste nera?
Perché sceglieva me? Perché il suo canto era come una polla prigioniera?
Egli, il prefetto, era un poeta! Ed io
pensandolo quest'oggi, io m'avvicino alla sua mano e gli susurro: «Anch'io!» . . . . . .
Poi in compagnia di Aldo Palazzeschi, fiorentino (1885 -1974), autore dell'abusata Rio Bo e della coinvolgente La fontana malata, gettiamo un ponte tra la poesia crepuscolare e l'avanguardia futurista.
Ecco, da "L'incendiario" (1911), due esempi piuttosto contrastanti; A palazzo Rari Or :
Da vetri scurissimi
leggera una nebbia viola traspare: finissima luce. E s'odon le note morenti dei balli più lenti. Si vedon dai vetri leggere passare volanti le tuniche bianche di coppie danzanti.
e l'inizio di E lasciatemi divertire! :
Tri tri tri,
fru fru fru,
ihu ihu ihu,
uhi uhi uhi!
Il poeta si diverte,
pazzamente,
smisuratamente!
Non lo state a insolentire,
lasciatelo divertire
poveretto,
queste piccole corbellerie
sono il suo diletto.
. . . . . .
Il Futurismo fu una rivoluzione che interessò tutti i settori artistici (letteratura, arti figurative, musica, teatro, cinema) tesa spesso ad esaltare il modernismo, le macchine, gli eccessi e fatta anche di sperimentazioni estreme, per stupire e sconcertare.
Ai poeti futuristi, oltre al fondatore Marinetti e, in parte, ai già citati Lucini e Govoni, si possono ascrivere, tra gli altri, Cavacchioli, Folgore e Ardengo Soffici, che però fu soprattutto pittore.
Di Enrico Cavacchioli, siciliano (1885 - 1954), il finale de La città addormentata :
. . . . . .
Se non fosse la sua scenografia da Bastiglia, se non fosse l'artiglieria delle sue ciminiere, questa città sembrerebbe una ridicola messa in scena borghese cresciuta e morta su una fossa: in cui, per fortuna, un pesco distende a gran pena un braccio tutto fiorito della sua gloria rossa.
e di Luciano Folgore (Roma 1888 - 1966) i primi versi di Al carbone :
Pane oscuro di macchine, che sbocchi
dalla gola delle miniere, e ti ammonticchi in infiniti blocchi lungo la via del lavoro; pane grande, sonoro di fiammeggianti energie, che liberi dal tuo ventre d'oro le deformi armonie delle fiamme, canta, con i tuoi cori lucenti, un inno di ribellione, soffia nella tromba dei venti il tuo desiderio, o carbone! . . . . . .
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