Le rubriche

Piccola Storia della Poesia Italiana

di Mario Macioce

tratto da L'Alfiere, rivista letteraria della "Accademia V.Alfieri" di Firenze

 


XVII parte

Appartiene alla prima metà del Novecento il folto gruppo di poeti che furono definiti "crepuscolari" per la malinconia che pervade la loro opera, per il senso incombente della malattia e della morte, e non a caso, visto che molti ebbero una vita breve e tormentata dal male.

Tra loro possiamo ricordare il torinese Carlo Chiaves, che fu anche ministro, e Carlo Vallini, milanese e grande amico di Gozzano, eroico ufficiale degli Alpini morto nel 1920 per le conseguenze dei disagi di guerra (" Non è dunque l'uomo una parte / del Tutto, che ignora il mistero / del Tutto? Che ignora un mistero / di cui egli stesso fa parte?/... "); poi Aldo Palazzeschi e Marino Moretti, che furono tra i pochi ad avere lunga vita: Moretti visse ben 94 anni; i romani Fausto Maria Martini e Sergio Corazzini, morto di tisi ad appena ventun' anni, e il torinese Nino Oxilia, autore anche di commedie di successo, come Addio giovinezza , morto in guerra nel 1917.


Ma il più importante, tanto che trascende la semplice etichetta di crepuscolare, è Guido Gozzano, nato nel 1883 presso Torino; già a ventun'anni avvertì i sintomi della tubercolosi, molto diffusa all'epoca e quasi sempre fatale, con cui lottò invano, soggiornando spesso in campagna o nella riviera ligure e tentando anche un viaggio in India nella speranza che il cambiamento di clima gli giovasse (" viaggio per fuggire altro viaggio "), (" Io penso talvolta che vita, che vita sarebbe la mia,/ se già la Signora vestita di nulla non fosse per via/ ... "). Morì a Torino nel 1916.


Da "La via del rifugio", edito nel 1907, alcune strofe tratte da Le due strade (distici di doppi settenari, a rime interne):

Tra bande verdi gialle d'innumeri ginestre
la bella strada alpestre scendeva nella valle.

Andavo con l'Amica, recando nell'ascesa
la triste che già pesa nostra catena antica;

quando nel lento oblio, rapidamente in vista
apparve una ciclista a sommo del pendio.

Ci venne incontro; scese.«Signora! Sono Grazia!»
sorrise nella grazia dell'abito scozzese.

«Graziella, la bambina?»-«Mi riconosce ancora?»
«Ma certo!» E la Signora baciò la Signorina.
. . . . . .


e da L'amica di nonna Speranza (versi doppi, ottonari o novenari, a rime interne):

Loreto impagliato e il busto d'Alfieri, di Napoleone,
i fiori in cornice (le buone cose di pessimo gusto!)

il caminetto un po' tetro, le scatole senza confetti,
i frutti di marmo protetti dalle campane di vetro,
. . . . . .


Da "I Colloqui", edito nel 1911 (in cui è ripresa, con molte modifiche, la prima poesia citata) un sonetto, Il buon compagno :

Non fu l'Amore, no. Furono i sensi
curiosi di noi, nati pel culto
del sogno ... E l'atto rapido, inconsulto
ci parve fonte di misteri immensi.

Ma poi che nel tuo bacio ultimo spensi
l'ultimo bacio e l'ultimo sussulto,
non udii che quell'arido singulto
di te, perduta nei capelli densi.

E fu vano accostare i nostri cuori
già riarsi dal sogno e dal pensiero;
Amor non lega troppo eguali tempre.

Scenda l'oblio; immuni da languori
si prosegua più forti pel sentiero,
buoni compagni ed alleati: sempre.


e alcuni versi da Invernale : (un gruppo di giovani pattina su un laghetto ghiacciato, che all'improvviso scricchiola e inizia a fessurarsi; tutti fuggono, ma Lei lo prende per un braccio e lo sfida a restare; per un po' i due pattinano, poi Lui, vinto dalla paura, torna a riva ...)

Ella sola restò, sorda al suo nome,
rotando a lungo nel suo regno solo.
Le piacque, alfine, ritoccare il suolo;
e ridendo approdò, sfatta le chiome,
e bella ardita palpitante come
la procellaria che raccoglie il volo.

Non curante l'affanno e le riprese
dello stuolo gaietto femminile,
mi cercò, mi raggiunse tra le file
degli amici con ridere cortese:
«Signor mio caro, grazie!». E mi protese
la mano breve, sibilando: «Vile!».


quindi le prime strofe da La signorina Felicita :

Signorina Felicita, a quest'ora
scende la sera nel giardino antico
della tua casa. Nel mio cuore amico
scende il ricordo. E ti rivedo ancora,
e Ivrea rivedo e la cerulea Dora
e quel dolce paese che non dico.

Signorina Felicita, è il tuo giorno!
A quest'ora che fai? Tosti il caffè:
e il buon aroma si diffonde intorno?
O cuci i lini e canti e pensi a me,
all'avvocato che non fa ritorno?
E l'avvocato è qui: che pensa a te.
. . . . .


e per concludere, le ultime strofe di Cocotte, la malinconica, delicata poesia in cui il Poeta ricorda con tenerezza i fugaci incontri tra lui, bimbo inconsapevole, e una sua vicina, donna di mondo, che in quegli attimi rubati viveva il suo istinto materno:

. . . . .

Il mio sogno è nutrito d'abbandono,
di rimpianto. Non amo che le rose
che non colsi. Non amo che le cose
che potevano essere e non sono
state ... Vedo la casa, ecco le rose
del bel giardino di vent'anni or sono!

Oltre le sbarre il tuo giardino intatto
fra gli eucalipti liguri si spazia ...
Vieni! T'accoglierà l'anima sazia.
Fa ch'io riveda il tuo volto disfatto;
ti bacerò; rifiorirà, nell'atto,
sulla tua bocca l'ultima tua grazia.

Vieni! Sarà come se a me, per mano,
tu riportassi me stesso d'allora.
Il bimbo parlerà con la Signora.
Risorgeremo dal tempo lontano.
Vieni! Sarà come se a te, per mano,
io riportassi te, giovine ancora.

 

È opportuno ricordare anche Amalia Guglielminetti (Torino 1885 – 1941), che con Gozzano ebbe una breve storia d'amore, sfociata poi, per volontà di lui, in una semplice, tenera amicizia (più tardi la Poetessa ebbe ben altri atteggiamenti e fu al centro di scandali); di lei riporto questo sonetto: Sera di vento

Dolce salire nella chiara sera
sola col vento che m'abbraccia, folle
più d'ogni amor, la strada erta del colle
fra un presagio lontan di primavera.

Dolce, s'io pur d'un ironia leggera
mi punga, come chi desto da un molle
sogno, se quasi già dolersi volle,
ride di sua stoltezza passeggiera.

O breve inganno, io ben di te mi spoglio.
Fatta serena, del destino il gioco
senza umiltà io seguo e senza orgoglio.

Ma mi figuro d'avanzar guardinga
e curiosa per gioir fra poco
d'altra menzogna bella di lusinga.