Le rubriche
Piccola Storia della Poesia Italiana
di Mario Macioce
tratto da L'Alfiere, rivista letteraria della "Accademia V.Alfieri" di Firenze
IX parte
IL SETTECENTO
Dopo l'appannamento del secolo precedente, la poesia italiana riprende
vigore (in linea col risveglio politico, economico e culturale nel
paese) e il Settecento è ricco di figure di rilievo; il gusto prevalente
dell'epoca però è molto diverso dall'attuale: è l'età dell'Arcadia, con
le sue leziosità e il richiamo eccessivo a un classicismo di maniera,
falso e, per noi, alquanto ridicolo; del resto anche allora ci furono
voci fuori dal coro. Verso fine secolo poi i toni della poesia presero
maggior vigore e drammaticità, sotto il vento nuovo del Preromanticismo.
Ma qui mi fermo, fedele al proposito di non addentrarmi nella critica
letteraria, e torno a citare le figure più significative della storia
della poesia.
La prima è quella di Pietro Metastasio, nome d'arte di Pietro Trapassi
(lo pseudonimo è una traduzione in greco del cognome), nato a Roma nel
1698 e morto a Vienna nel 1782. Di umile origine, fu adottato da un
letterato famoso dell'epoca, il Gravina, e poté così dedicarsi agli
studi e diventare, oltre che valido poeta, uno dei maggiori
"librettisti" di melodrammi e autore di testi per canzoni.
Fra i tanti melodrammi si possono citare la Didone abbandonata, forse il
suo capolavoro, La clemenza di Tito e l' Attilio Regolo.
Qui riporto due strofe da La partenza, canzonetta in settenari, secondo
il gusto del tempo che privilegiava i versi brevi e molto musicali.
. . . . . .
Io fra remote sponde
mesto volgendo i passi
andrò chiedendo ai sassi:
«La Ninfa mia dov'è?».
Dall'una all'altra aurora
te andrò chiamando ognora;
e tu chi sa se mai
ti sovverrai di me!
. . . . . .
«Ecco», dirò, «quel fonte
dove avvampò di sdegno,
ma poi di pace in pegno
la bella man mi diè.
Qui si vivea di speme;
là si languiva insieme»;
e tu chi sa se mai
ti sovverrai di me!
. . . . . .
Giuseppe Parini, nato nel 1729 a Bosisio, in Brianza, morì a Milano nel
1799; anche lui di umili origini, fu sacerdote e precettore presso
famiglie nobili; così conobbe da vicino e condannò con la sua satira
quel mondo, ormai sul viale del tramonto, ma che manteneva intatta la
sua arroganza. Fu anche giornalista e insegnante, e partecipò per breve
tempo alla vita politica milanese.
Dal poema satirico Il giorno, in cui è il famoso episodio della vergine
cuccia (la cagnetta che fa "giustamente" gettare in mezzo a una strada
con tutta la sua famiglia un servo villano che ha osato rispondere con
un calcio a un suo "grazioso" morso), riporto i versi in cui si paragona
ironicamente il valore guerriero degli avi col coraggio del Giovin
Signore che si lancia nello stanzino della cipria per incipriarsi i
capelli.
. . . . . . . . Ecco che sparsa
pria da provvida man, la bianca polve
in piccolo stanzin con l'aere pugna,
e degli atomi suoi tutto riempie
egualmente divisa. Or ti fa cuore,
e in seno a quella vorticosa nebbia
animoso ti avventa. O bravo o forte!
Tale il grand' Avo tuo fra 'l fumo e 'l foco
orribile di Marte, furїando
gittossi1 allor che i palpitanti lari2
della Patria difese . . . .
1 furїando gittossi = si gettò con furia guerriera
2 i lari sono gli dei protettori della casa.
Vittorio Alfieri è molto importante nella storia del teatro (in
versi) e perciò ha dato il nome alla nostra associazione, impegnata
all'origine soprattutto sul fronte teatrale.
Nato ad Asti nel 1749 da una famiglia ricca e nobile, ebbe una
giovinezza burrascosa, tra la disprezzata Accademia militare, i viaggi,
gli amori, i furori, gli studi intensissimi. Scrisse tragedie e concepì
la poesia come una missione; per non essere distratto dagli affari di
famiglia, rinunciò a tutti i suoi beni a favore della sorella, in cambio
di un vitalizio. Amò, per la vita, Luisa Stolberg contessa d'Albany.
Visse per molti anni a Firenze, dove morì nel 1803.
A ispirare la sua poesia furono gli ideali di libertà e di patria, ma
anche la solitudine e un sostanziale pessimismo, nella convinzione che
solo la poesia può risvegliare gli animi, ma non nelle masse.
Per l'Alfieri delle tragedie, riporto i versi finali del V atto del
Saul. Il vecchio re ha lasciato la via della giustizia e agito da
tiranno; privo ormai della protezione di Dio, è sconfitto dai Filistei e
i figli maschi sono uccisi in battaglia; prima di essere catturato, fa
portare in salvo la figlia Micol e si toglie la vita.
. . . . Oh, figli miei!...- Fui padre.-
Eccoti solo, o' re; non un ti resta
dei tanti amici, o servi tuoi. - Sei paga,
d'inesorabil Dio terribil ira? -
Ma, tu mi resti, o brando1: all'ultim uopo,2
fido ministro, or vieni.- Ecco già gli urli
dell' insolente vincitor: sul ciglio
già lor fiaccole ardenti balenarmi
veggo, e le spade a mille...-Empia Filiste,3
me troverai, ma almen da re, qui...morto.
1 brando = spada
2 uopo = bisogno, necessità
3 Filiste = nazione filistea (i Palestinesi di allora)
Dalle Rime ho tratto la prima e l'ultima strofa di un suo significativo
sonetto.
Bieca, o Morte, minacci? e in atto orrenda,
l'adunca falce a me brandisci innante?1
Vibrala, su: me non vedrai tremante
pregarti mai, che il gran colpo sospenda.
. . . . . . . .
Sottrammi ai re2, cui sol dà orgoglio, e regno,
viltà dei più, ch'a inferocir gl' invita3,
e a prevenir dei pochi il tardo4 sdegno.
1 a me brandisci innante = afferri e agiti davanti a me
2 sottrammi ai re = (la morte) mi sottrae ai re, ai potenti
3 ch'a inferocir gl'invita = è la viltà dei più che incoraggia i re ad
essere spietati
4 tardo = lento e tardivo
A cavallo fra Sette e Ottocento campeggiano le figure, per così dire,
"parallele" di Ippolito Pindemonte e Vincenzo Monti: i loro cognomi si
assomigliano, erano quasi coetanei (il primo è del 1753, l'altro del
'54) e morirono nello stesso anno 1828; uno deve la fama alla
traduzione, in endecasillabi sciolti, dell'Odissea; l'altro, poeta di
valore, all'analoga traduzione dell'Iliade.
Del Pindemonte ho scelto alcuni versi dal VI canto dell'Odissea, quando
Nausica si prepara a partire per il picnic durante il quale incontrerà
Ulisse, naufrago e solo.
Venia Nausica con le belle vesti,
che sulla biga lucida depose.
Cibi graditi e di sapor diversi
la madre collocava in gran paniere,
e nel capace sen d'otre caprigno
vino infondea soave: indi alla figlia,
ch'era sul cocchio, perché dopo il bagno
sé con le ancelle, che seguìanla, ungesse,
porse in ampolla d'or liquida oliva.
Del Monti questi malinconici versi, tratti da Al Principe Don Sigismondo Chigi.
Allorché d'un bel giorno in su la sera
l'erta del monte ascenderai soletto,
di me ti risovvenga; e su quel sasso,
che lacrimando del mio nome incisi,
su quel sasso fedel siedi e sospira.
Volgi il guardo di là verso la valle,
e ti ferma a veder come da lunge
su la mia tomba invia l'ultimo raggio
il sol pietoso, e dolcemente il vento
fa l'erba tremolar che la ricopre.
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