Le rubriche
Piccola Storia della Poesia Italiana
di Mario Macioce
tratto da L'Alfiere, rivista letteraria della "Accademia V.Alfieri" di Firenze
XI parte
Il poeta più amato della prima metà dell'Ottocento è
Giacomo Leopardi. Nato nel 1798 a Recanati, nelle Marche,
da nobile famiglia, trascorse la giovinezza nel palazzo paterno, quasi
prigioniero, tanto che cercò di organizzare una fuga, ma senza
successo. In quegli anni gli fu di conforto lo studio "matto e
disperatissimo" dei classici, anche se fu tormentato da guai alla
vista e dal manifestarsi di gravi problemi di salute.
Quando finalmente poté lasciare il "natio borgo selvaggio",
per viaggi e soggiorni a Roma, Milano, Bologna, Firenze, Pisa e Napoli,
fu spesso deluso. Morì a Napoli nel 1837, a soli trentanove anni,
assistito dall'amico Antonio Ranieri, che ne raccolse le ultime parole
e gli ultimi versi.
Nel breve arco della sua vita scrisse comunque molto, in poesia e in
prosa: opere di carattere filosofico e morale, saggi, memorie, traduzioni
dal greco e dal latino, e, naturalmente, poesie.
Non fece molto uso di forme tradizionali e lasciò presto le strofe
regolari rimate; quanto alla Canzone, passò progressivamente
da quella di tipo classico a un nuovo modello più semplice, che
da lui prese il nome, con strofe disuguali e rime sparse (ma versi,
endecasillabi e settenari, in perfetta metrica a garanzia di una grande
musicalità).
Ecco alcuni esempi della sua poesia.
Da Il primo amore (terzine incatenate) le prime tre strofe;
questa poesia fu scritta dal poeta diciannovenne per una parente sposata,
di alcuni anni più anziana di lui; del resto nell'isolamento
in cui si trovava non aveva occasione di fare molte conoscenze.
Tornami a mente il dì che la battaglia
d'amor sentii la prima volta, e dissi:
Oimè, se quest'è amor, com'ei travaglia!
Che gli occhi al suol tuttora intenti e fissi,
io mirava colei ch'a questo core
primiera il varco ed innocente aprissi.1
Ahi come mal mi governasti, amore!
Perché seco dovea sì dolce affetto
recar tanto desio, tanto dolore?
. . . . . . . . .
1 primiera ... aprissi = si aprì un varco per
prima e senza volerlo
L' infinito
Sempre caro mi fu quest'ermo1
colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo2 esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo3; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare.
1 ermo = solitario
2 il guardo = lo sguardo
3 nel pensier mi fingo = immagino
Come esempio di Canzone petrarchesca si può citare All'Italia,
di cui riporto una strofa:
Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive,
mai non potrebbe il pianto
adeguarsi al tuo danno ed allo scorno;
che fusti donna1, or sei povera ancella.
Chi di te parla o scrive,
che, rimembrando il tuo passato vanto,
non dica: già fu grande, or non è quella?
Perché, perché? dov'è la forza antica,
dove l'armi e il valore e la costanza?
Chi ti discinse il brando?2
Chi ti tradì? qual arte o qual fatica
o qual tanta possanza
valse a spogliarti il manto e l'auree bende?
Come cadesti o quando
da tanta altezza in così basso loco?
Nessun pugna3 per te? non ti difende
nessun de' tuoi? L'armi, qua l'armi: io solo
combatterò, procomberò sol io:
Dammi, o ciel, che sia foco
agl'italici petti il sangue mio.
. . . . . . . .
1 fusti donna = fosti signora, dominatrice
2 ti discinse il brando = ti sciolse la spada
3 nessun pugna = nessuno combatte
Le altre strofe rispettano la regola della perfetta simmetria, come
numero e disposizione di versi e come schema di rime.
Ma poi Leopardi passa a forme più semplici, come in Ultimo
canto di Saffo o Alla sua donna, fino ad arrivare a quella
che è stata detta Canzone leopardiana, con strofe differenti
in tutto e rime sparse e casuali (e spesso anche rime interne, come
qui sotto: armenti / contenti).
Come esempio, Il passero solitario (prima strofa):
D'in su la vetta della torre antica,
passero solitario, alla campagna
cantando vai finché non muore il giorno;
ed erra1 l'armonia per questa valle.
Primavera d'intorno
brilla nell'aria, e per li campi esulta,
sì che a mirarla2 intenerisce
il core.
Odi greggi belar, muggire armenti;
gli altri augelli contenti, a gara insieme
per lo libero ciel fan mille giri,
pur festeggiando il lor tempo migliore:
tu pensoso in disparte il tutto miri;
non compagni, non voli,
non ti cal3 d'allegria, schivi gli
spassi;
canti, e così trapassi
dell'anno e di tua vita il più bel fiore.
. . . . . . .
1 erra = vaga, si spande
2 mirarla = guardarla
3 non ti cal = non t'importa
Le altre due strofe, di 28 e di 15 versi, non hanno niente in comune,
né come alternanza di versi, né come rime.
In Scherzo Leopardi ironizza su quei poeti che, scritti affrettatamente
i propri versi, si rifiutano di rivederli e di migliorarli.
Quando fanciullo io venni
a pormi con le Muse in disciplina,1
l'una di quelle mi pigliò per mano;
e poi tutto quel giorno
la mi2 condusse intorno
a veder l'officina.
Mostrommi a parte a parte3
gli strumenti dell'arte,
e i servigi diversi
a che4 ciascun di loro
s'adopra nel lavoro
delle prose e de' versi.
Io mirava, e chiedea:
Musa, la lima ov'è? Disse la Dea:
la lima è consumata; or facciam senza.
Ed io, ma di rifarla
non vi cal, soggiungea, quand'ella è stanca?5
Rispose: hassi a rifar6, ma il tempo
manca.
1 venni ... in disciplina = venni a scuola dalle Muse
2 la mi = lei mi (toscanismo)
3 mostrommi ... a parte = mi mostrò ordinatamente, uno per uno
4 a che = per i quali
5 non vi cal ... stanca? = non v'importa di rifarla quand'è consumata?
6 hassi a rifar = si deve rifare
E finiamo con gli ultimi sei versi de Il tramonto della luna,
dettati dal Poeta sul letto di morte all'amico Ranieri.
Ma la vita mortal, poi che la bella
giovinezza sparì, non si colora
d'altra luce giammai, né d'altra aurora.
Vedova è insino al fine; ed alla notte
che l'altre etadi oscura,
segno poser gli Dei la sepoltura.1
1 Vedova ... sepoltura = è triste e desolata
fino alla fine, ed alla notte che rende oscure le altre età (dopo
la giovinezza) gli Dei posero come limite la tomba.
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